Sapere, credere se esiste "qualcosa" dopo la morte è essenzialmente un problema di fede (sentimento); sapere, capire cosa significhi in particolar modo ai fini del vivere terreno, l'esistenza o meno di tale "qualcosa", è un problema non solo di fede ma anche di ragione (intellige ut credas).
Nel caso in cui si crede che esista "qualcosa" dopo la morte, due essenzialmente sono le concezioni manifestatesi nel pensiero dell'uomo. Una prima concezione ritiene che: a) ciò che esiste dopo la morte sia "qualcosa" a cui il singolo si riunisce in qualche modo senza però perdere del tutto la propria individualità (in tal senso essenzialmente le tre religioni monoteistiche, anche se con qualche differenza tra di loro; e così ad esempio il Cristianesimo, diversamente dall'Ebraismo crede, oltre alla resurrezione dell'anima, anche alla resurrezione dei corpi, con ciò verosimilmente accentuando maggiormente il concetto di individualità). Altra concezione invece, ritiene che: b) dopo la morte il singolo "confluisce", "si dissolve" nel Tutto, perdendo in tal modo ogni dimensione individuale (in tal senso essenzialmente le filosofie orientali, induismo, buddismo, e confucianesimo). Tali ultime concezioni finiscono a volte per negare alla radice ogni trascendenza, giungendo ad impostazioni essenzialmente immanentiste (varie forme di panteismo). Quale che sia comunque il modo di porsi delle concezioni sub b) rispetto al problema della trascendenza, di certo una delle differenze principali tra le concezioni sub a) e le concezioni sub b) è data dal diverso modo di concepire l'individualità. Ed invero, nelle concezioni sub a) il rapporto tra individualità e realtà universale (globale), superindividuale, della quale l'individuo (l'ente) fa pur sempre parte, è tale per cui comunque mai la singola individualità può soccombere, può essere sacrificata alla logica e alla dimensione della realtà universale; viceversa nelle concezioni sub b) i termini della questione sono tendenzialmente invertiti, nel senso che la vera ed unica natura dell'individuo è quella di esser parte del Tutto, sicchè il Tutto deve comunque sempre prevalere sulla parte, atteso che, in ultima analisi, è il Tutto che dà ragione e contezza alla parte (individuo). Ma qual è l'essenza dell'individualità? Essa risiede nella volontà, nella libera volontà (Agostino, Cartesio, Leibniz, Kant, ma anche, sebbene in ottiche profondamente diverse, se non opposte, Schopenhauer, Nietzsche, Heidegger, Sartre). L'individuo, il soggetto, diversamente da tutto il resto della realtà (oggetto) di cui fa parte, è un ente non necessitato (per lo meno nel suo Spirito, nella sua anima, se non nella sua psiche), bensì libero nelle sue scelte, nel suo agire e nel modo d'interpretare il mondo che lo circonda, sebbene notevolmente condizionato (ma non totalmente determinato) dalla realtà oggettiva. Tale libertà, trova il proprio fondamento trascendentale nell'assolutezza della libertà e liberalità che connota l'Essere Supremo; ed invero, la concezione della creazione quale atto di libertà fu una concezione che si affermò per la prima volta nella storia del pensiero occidentale con la filosofia cristiana (Agostino); per contro la filosofia greca anche quando era giunta a concepire la creazione (emanazione) da parte dell'Essere, riteneva tale creazione un atto comunque necessitato (Plotino). L'Essere Supremo crea l'individuo a Sua immagine e somiglianza, e quindi libero nelle sue scelte (impostazione, questa, non condivisa però da quelle concezioni religiose - si pensi a Lutero - che negano alla radice ogni forma di libero arbitrio da parte dell'uomo). Libertà, che trova la sua massima espressione, in tali concezioni religiose, nella resurrezione, che costituisce per l'appunto il superamento della morte, ovvero dell'evento più di ogni altro necessitato e determinato, e quindi in definitiva, libertà dalla morte, libertà dalla necessità materiale (a tal fine si evidenzia la centralità, nella religione cristiana, della concezione della duplice natura umana e divina della figura del Cristo). Certo, la preminenza, il valore centrale dell'individualità, occorre subito precisare, è riconosciuto ed invocato, non solo dalla concezioni di carattere trascendentale, ma anche, all'opposto, da quelle concezioni che negano alla radice ogni trascendenza, e al contempo negano l'esistenza di ogni tipo di ordine necessitato che possa "governare" e spiegare il divenire della realtà, per affermare, per l'appunto, come unica realtà quella dell'individuo totalmente libero nel suo agire e nel suo destino. Qual è allora, se esiste, la differenza, sotto il profilo della dimensione terrena, dell'essenza individualità/libertà, tra tali concezioni agnostiche e le concezioni trascendentali? Tale differenza risiede nel diverso modo di concepire il concetto di individualità/libertà. Ed infatti, nelle concezioni agnostiche, materialiste, l'individualità, la singola individualità, finisce spesso con l'essere l'unico soggetto rispetto al quale tutto il resto (compresi quindi anche gli altri soggetti) si riduce a mera realtà oggettiva; realtà oggettiva con cui il soggetto instaura un rapporto essenzialmente, o comunque tendenzialmente, di natura conflittuale finalizzato principalmente all'affermazione della singola individualità (vedi ad esempio Nietzsche). Per contro, nelle concezioni trascendentali, la singola individualità trova un limite, anzi si realizza, in relazione e in rapporto con le altre individualità, e ciò in quanto ciascuna individualità, nessuna esclusa, costituisce pur sempre un valore assoluto, che riceve tale assolutezza dall'essere creato anch'egli dall'Essere Supremo al quale si riunirà oltrepassato "il limite necessitato della morte" (altra problematica diversa, sebbene connessa, è quella relativa all'individuazione e determinazione del "sistema" che consenta, in questa vita terrena, la realizzazione di tale "armonica", equa convivenza tra le varie individualità; ovvero una società che riesca a coniugare il valore della individualità/libertà con il valore altrettanto fondamentale dell'equità; ovvero una società improntata alla massima kantiana secondo la quale l'uomo deve essere considerato sempre come un fine e mai come un mezzo). Ciò rilevato, occorre tuttavia evidenziare come in effetti anche tra le concezioni essenzialmente materialiste e agnostiche esistono impostazioni che concepiscono il rapporto tra le varie individualità non già essenzialmente in termini di scontro, o comunque di competizione particolarmente aggressiva, bensì in termini di "armonia relazionale. Sennonché, anche in relazione a tali concezioni, sussistono pur sempre delle differenze sostanziali rispetto al concetto individualità/libertà di cui alle concezioni trascendentali, Tali differenze risiedono essenzialmente nel fondamento del concetto individualità/libertà. Ed invero, le concezioni materialiste, agnostiche, che negano non solo la trascendenza ma anche l'esistenza di una realtà super-individuale, universale, alla quale la singola individualità dovrebbe essere subordinata, finiscono paradossalmente esse stesse per subordinare comunque la singola individualità al "sentire comune", e quindi ad una realtà per l'appunto super-individuale alla quale l'individuo deve conformarsi. Ed infatti, se si nega l'esistenza a priori di ogni valore assoluto, quale è il valore dell'individualità/libertà, tale valore in tanto può trovare riconoscimento e fondamento in quanto sia considerato come tale (ovvero come valore) dalla cultura prevalente e dominante in un determinato contesto storico e territoriale; ma se tale valore dell'individualità/libertà non trova più riconoscimento e fondamento nel "comune sentire" di una determinata collettività, ovvero non sia condiviso da quest'ultima (Habermas) ecco allora che il valore dell'individualità/libertà perde ogni consistenza e ragion d'essere. Per contro, nelle concezioni di carattere trascendentale, proprio perché il fondamento del concetto di individualità/libertà risiede non già in un riconoscimento che trova la propria ed esclusiva legittimazione nel contingente "sentire comune", bensì in valori assoluti, appunto perché trascendentali, il concetto di individualità/libertà prescinde da ogni tipo di "comune sentire", per vivere invece sempre e comunque di una "vita propria ed autonoma", alla quale il singolo potrà sempre ispirarsi per scegliere il proprio agire, e la propria vita. |