• La risposta di Tonnies e Simmel, vecchia più di cento anni ma ancora oggi più che valida.


    Recentemente, durante un'escursione naturalistica al seguito di una delle tante associazioni ambientaliste, ho conosciuto un ragazzo molto cordiale impegnato come cooperante in America Latina. Come mi ha riferito lui stesso, la cosa che lo ha impressionato di più sin dall'inizio della sua attività è la capacità delle tante persone poverissime, da lui incontrate quotidianamente in quel continente, di esprimere frequentemente autentica gioia e allegria nonostante le loro condizioni siano molto più miserabili degli emarginati di casa nostra (basti pensare alla nostra assistenza sanitaria gratuita, che nei paesi in via di sviluppo è praticamente inesistente se si eccettuano le organizzazioni di volontariato come Emergency o Medici senza frontiere). Questo è un interrogativo che mi è già capitato di sentire altre volte in passato, ad es. da amici al ritorno da un viaggio in paesi esotici (esotici per noi occidentali ovviamente) rimasti anche loro colpiti dal sorriso, dalla felicità e dal calore umano di tante persone di tutte le età che possedevano a malapena di che coprirsi. "Perché loro, anche se hanno lo stomaco quasi vuoto, riescono a ridere, cantare, ballare, e noi invece andiamo in depressione se si alza lo spread o crolla la Borsa?" : questa, in sintesi, la domanda che tanti si pongono tornando nel nostro paese.
    Premesso che anche nei paesi in via di sviluppo non è certamente raro assistere a violenze, guerre, fughe in massa di profughi e a tante altre situazioni drammatiche, è anche certamente vero tuttavia che esistono molte comunità dove disperazione e pessimismo sembrano colpire ben pochi, perlomeno finché non si abbattono delle calamità naturali. Vedere il proprio futuro nero non sembra insomma una malattia frequente, cronica ed estesa come nei paesi industrializzati, compresi quelli asiatici, dove depressione e suicidi sono costantemente in aumento.
    Per quanto curioso possa sembrare la risposta a questa domanda la diedero più di cento anni fa due dei padri della moderna sociologia: i tedeschi Ferdinand Tonnies (1855 – 1936) e Georg Simmel (1858 - 1918). Ma nonostante la sua veneranda età, essa appare più attuale che mai.
    Nella sua opera Comunità e società, pubblicata nel 1887, Tonnies distingue fondamentalmente i gruppi sociali nei due tipi indicati nel titolo. La loro differenza consiste principalmente nel genere di relazione che vige tra i loro membri: la comunità – normalmente di dimensioni contenute – viene caratterizzata dalla solidarietà e dal reciproco aiuto tra tutti i soggetti, legati da vincoli di parentela e di familiarità, o in ogni caso di conoscenza diretta; la società al contrario, di dimensioni più vaste, come le città o le metropoli, è costituita dalla folla anonima di persone che normalmente non si conoscono tra loro, talvolta pur risiedendo nello stesso condominio, e che entrano in relazione prevalentemente attraverso il denaro e la compravendita di beni e servizi. Mentre all'interno delle piccole comunità – come ancora oggi lo sono molti dei nostri paesini di provincia - gli scambi avvengono spesso senza l'ausilio del denaro, poiché costituiscono occasioni per rafforzare la coesione del gruppo, nelle città e nelle metropoli invece il denaro costituisce non solo il mezzo normale per acquisire beni e servizi, ma anche la via privilegiata per entrare in relazione, in contatto con gli altri cittadini: solo se hai soldi da spendere per un caffè puoi permetterti di parlare di calcio col barista, solo se paghi il barbiere puoi chiacchierare con lui di politica, solo se paghi uno psicologo puoi raccontargli i tuoi guai familiari e lavorativi, ecc. Tonnies mostra chiaramente che nelle società urbane i cittadini vivono non solo separati fra di loro, gelosi della propria privacy, ma anche in una costante, pur se tacita, condizione di reciproco conflitto, dove la competizione per l'accrescimento e la protezione del proprio potere d'acquisto tra acquirenti e venditori è la prassi normale. Da ciò ne consegue a livello culturale l'adozione di un pragmatico criterio di giudizio riguardo alle stesse persone che è basato sul loro potere d'acquisto: "Tu vali quanto possiedi e guadagni. Tu vali quanto puoi spendere".
    Anche Simmel, nato e vissuto per lungo tempo nella Berlino imperiale del Kaiser Guglielmo II, nelle sue due opere principali La filosofia del denaro (1900) e La metropoli e la vita mentale (1903) analizza in maniera più profonda e dettagliata le caratteristiche della società urbana rispetto alle piccole comunità. La città per il sociologo berlinese è una vera fonte di stress per coloro che la abitano (siamo nei primi anni del '900!), in primo luogo perché la gran quantità di stimoli ricevuti in un tempo più breve sovraccaricano il sistema nervoso che in tal modo è costretto ad un superlavoro aumentando la propria attività. L'individuo urbanizzato impara tuttavia a reagire sin dalla sua infanzia – a differenza dei bambini delle comunità rurali, più spontanei ed espansivi – con meccanismi di difesa psicologici quali l'indifferenza e il distacco emotivo (fino all'omertà e al cinismo) nei confronti specialmente degli altri suoi concittadini. Anche per Simmel questo comporta una spersonalizzazione ed un raffreddamento nelle relazioni tra gli abitanti delle città che finiscono per entrare in rapporto reciproco quasi esclusivamente sulla base del denaro. Di qui tutte le conseguenze classiche dell'alienante mondo metropolitano: la fredda e cinica competizione per il guadagno e la carriera; la sottomissione a ritmi di lavoro logoranti per l'acquisizione di potere d'acquisto, unico vero strumento soprattutto per la stima e la considerazione sociale; la costruzione di una falsa maschera di immagine da esibire in società tramite gli "status simbol" (gioielli, auto, ecc.); e non ultimo il dramma esistenziale di chi perdendo il proprio potere d'acquisto - per licenziamento, bancarotta, ecc. - perde contemporaneamente anche la sua fondamentale capacità di entrare in relazione e comunicare con gli altri suoi concittadini, e dunque perde, oltre che il rispetto del panettiere a cui deve domandare il pane a credito, anche quello dei suoi familiari e dei suoi amici.
    Né Tonnies né Simmel tuttavia esprimono un giudizio decisamente negativo nei confronti delle società urbane, poiché l'alienante logica del denaro costituisce secondo loro il prezzo da pagare per il progresso economico e tecnologico. Simmel anzi mostra esplicitamente come anche la cattiva medaglia della città abbia il suo lato positivo, e viceversa. Nella piccola comunità il singolo è certamente protetto dalla rete di reciproco aiuto e solidarietà gratuita, ma per tanti versi non appartiene a se stesso, bensì al suo gruppo. In altre parole non è libero di muoversi, agire, lavorare, parlare, pensare in maniera completamente autonoma, ma sempre sostanzialmente in sintonia con gli altri componenti della sua comunità di cui è obbligato a rispettare norme, usi, costumi e credenze. In genere non può nemmeno vestirsi come gli pare e piace, ma deve adottare la moda e gli abiti tradizionali che come vere e proprie uniformi manifestano la totale adesione alle regole e alla mentalità della comunità. Ogni singolo membro deve mettere completamente a disposizione della propria comunità il suo tempo, le sue energie, le sue competenze specifiche ed il proprio talento, pena la censura e la sanzione degli altri membri del gruppo. La pressione sociale/culturale dell'intera comunità sui singoli – tanto più forte quanto più il gruppo è piccolo – garantisce la coesione del gruppo stesso, poiché in caso contrario esso o si disgregherebbe o non avrebbe la forza di gestire i quotidiani problemi di sopravvivenza. Tuttavia proprio la rete di reciproca solidarietà, le limitate necessità dei singoli ridotte allo stretto indispensabile per la sopravvivenza, i ritmi lenti propri degli habitat rurali, e le conoscenze tradizionali sufficienti a gestire e risolvere le difficoltà ordinarie, forniscono ad ogni individuo della comunità una sensazione di sicurezza e fiducia nel futuro, per sé e per i propri figli, che si traduce spontaneamente nel sorriso, nel canto, nella danza ed in altre manifestazioni gioiose.
    La società urbana al contrario, per Simmel, è il regno della libertà, è cioè l'ambiente ideale dove il singolo può agire in maniera autonoma ed esprimere tutta la propria individualità ed il proprio talento creativo. È cioè libero non solo di lavorare unicamente per sé, monetizzando il proprio talento e la propria iniziativa, ma anche di muoversi, agire e pensare autonomamente: oltre che di quello economico, la città è infatti anche la dimensione del progresso scientifico e culturale. E' una libertà tuttavia, come si è già detto, che può sconfinare facilmente nella solitudine e nella disperazione se viene meno il fondamentale mezzo e valore di riferimento – il denaro - il quale anche quando se ne disponga finisce col ridurre spesso le relazioni con gli altri a contatti ipocriti e formali, non autentici.

    Queste analisi sono già state ampiamente approfondite dai sociologi del XX secolo e le loro conclusioni appartengono da lungo tempo al patrimonio della sociologia. Se vi sono ancora molte persone che si stupiscono della gioia e della felicità di tanti poveri nel mondo è anche perché le autorità ed i governi di qualunque colore, espressioni comunque di tutte quelle forze economiche del mondo industrializzato legate alla metropolitana filosofia del denaro, non incoraggiano certo la diffusione e la circolazione di queste risposte. Se l'"animale urbano", cliente ideale dei produttori, da passivo e ottuso consumatore diventasse improvvisamente un "essere pensante", potrebbe ad esempio anche mettersi a sghignazzare di fronte alle false seduzioni di tante pubblicità "ormonali".
    La gente tuttavia è meno stupida di quanto si possa pensare, e nonostante non abbia mai imparato nulla di sociologia sui banchi di scuola, ha già da parecchio tempo intuito la profonda differenza – in senso metaforico e non - fra l'aria cattiva della città e quella più sana e genuina delle piccole comunità di provincia. E' questo il motivo fondamentale del fenomeno del "pendolarismo feriale", ovvero dello spostamento temporaneo dalle città verso le piccole località della provincia, che sia il paesino di origine dell'operaio emigrato nella grande metropoli industriale, ovvero una tranquilla stazione di villeggiatura. Come si intuisce, il fine non è solo quello di trovare pace, aria buona, ritmi più lenti, e via dicendo, ma in primo luogo di ritrovarsi in una dimensione dove le persone stesse possano mostrare volti e atteggiamenti più spontanei, espressivi e autentici, e non solo tra i residenti locali: fuori dalla pazza folla delle città, anche i cittadini stessi finiscono per dimostrarsi meno freddi e distaccati.
    Attualmente tuttavia proprio la crisi e la carenza di denaro – che comporta, lo ripetiamo, una riduzione anche delle relazioni interpersonali – stanno promuovendo da diversi anni nelle città la nascita di "comunità urbane", gruppi di cittadini, ad es. di un intero condominio, che uniscono oltre che le loro magre risorse, soprattutto il loro tempo e la loro volontà di aiutarsi a vicenda. Un esempio molto diffuso sono i "Gruppi di acquisto solidale" (GAS) sorti con la finalità di acquistare direttamente nelle campagne prodotti agricoli di buona qualità e con un notevole risparmio. Di grande aiuto in iniziative di questo genere è il mezzo della Rete che partendo dalla necessità di risolvere i problemi pratici di organizzazione, finisce per raggruppare gli utenti sparsi per tutta la città in una vera e propria "comunità" la cui parola d'ordine è la solidarietà. Se questa tendenza continuerà ad estendersi, in un prossimo futuro le metropoli potrebbero allora trasformarsi in contenitori di tante piccole realtà di mutuo soccorso non urbanisticamente localizzate e ghettizzate, ma al contrario aperte e interagenti tra loro: in altre parole, totalmente differenti dai quartieri degradati (architettonicamente e socialmente) come le attuali periferie urbane. Sull'onda della cultura dei Social Network, insomma, potrebbe svilupparsi un diffuso mutamento della mentalità urbana ed un affievolimento delle contraddizioni della connessa filosofia del denaro.