La navigazione sulla rete in questi ultimi anni è diventata sempre più una vera filosofia di vita, i cui elementi essenziali - l'interattività, la condivisione delle risorse, la solidarietà, la capacità di fornire aiuto e risposte - sono diffusi ed accettati praticamente da ogni internauta di qualsiasi nazionalità, e sembrano spesso adombrare anche la volontà di ricostruire il mondo reale sul modello di quello virtuale. Tutto ciò contrasta con le affermazioni del movimento filosofico post-moderno - inaugurato dal francese Lyotard alla fine degli anni settanta - che rileva (in maniera a suo dire definitiva nella storia del pensiero) il venir meno delle grandi filosofie dell'epoca moderna e contemporanea - l'Illuminismo, l'Idealismo, ecc. - ed invita ad aderire a valori ed orientamenti di tipo non più universali bensì di tipo pratico e contingente. In realtà Internet si è dimostrato (e si dimostra tuttora) sia l'apice del pensiero post-moderno (nel senso del pluralismo), sia la sua negazione ed il suo superamento, verso appunto una nuova grande filosofia.
La rivista "Micromega" ha recentemente invitato a un dibattito sulla decadenza del movimento post-moderno, inaugurato negli anni settanta dal filosofo francese Jean Francois Lyotard (1924-1998) e rappresentato attualmente in Italia da filosofi quali Gianni Vattimo, Pier Aldo Rovatti, ed altri. Per chi non fosse aggiornato sul pensiero degli ultimi decenni, si ricorda che caratteristica fondamentale della filosofia postmoderna è un accentuato relativismo conseguente alla sua analisi della società occidentale a partire dagli anni settanta. Nel suo fondamentale volume pubblicato nel 1979, La condizione postmoderna, Lyotard ravvisava la crisi delle grandi costruzioni filosofiche (o meta-narrazioni) del '700 e '800, come l'Illuminismo, l'Idealismo ed il Marxismo, capaci di fornire un significato univoco e totalizzante, a 360 gradi, su ogni questione esistenziale agli individui di ogni classe sociale: in primo luogo l'idea di progresso storico, comune a tutte queste tre grandi filosofie. Rilevando l'assenza di una nuova grande costruzione del pensiero che potesse prenderne il posto, giudicava ciò un fatto positivo ai fini del pluralismo e del rispetto delle diversità, e proponeva l'adesione a valori ed orientamenti di tipo non universali bensì di tipo pratico e contingente, collegati all'ambiente in cui vive ciascuno di noi. E' insomma un orientamento di pensiero – già contenuto "in nuce", a detta dei suoi esponenti, anche nelle filosofie degli ultimi secoli, ad es. in quella di Nietzsche – caratterizzato da un profondo scetticismo critico (anche se non pessimista), all'insegna della diversificazione, della pluralità, dell'instabilità e del contingente, proprio come le molteplici suddivisioni del sapere. Gianni Vattimo, in volumi quali ad es. Il pensiero debole del 1983, ha mostrato il venir meno dei "pensieri forti" caratteristici delle grandi filosofie (Illuminismo, Positivismo, Marxismo, ecc.), garanti della verità, ed al contrario la legittimazione intrinseca di ogni punto di vista esistente (i "pensieri deboli" appunto, quelli degli individui come quelli delle diverse civiltà): «caduta l'idea di una razionalità centrale della storia, il mondo della comunicazione generalizzata esplode come una molteplicità di razionalità "locali" - minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche - che prendono la parola, finalmente non più tacitate e represse dall'idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti.» In realtà la nascita del movimento postmoderno (e della sua probabile crisi attuale a detta di molti) è il risultato di un rapporto dialettico-funzionale ricorrente nella storia della filosofia sin dalla sua nascita, e fondato sull'interazione tra evoluzione dei mass-media e trasformazione del pensiero e dell'intera cultura di un'epoca. Un sommario ripercorso di questa dinamica attraverso la storia è necessario per ben comprendere questo, ed anche ben interpretare quanto sta accadendo oggi in Italia e nel mondo. Fin dalle sue origini la filosofia si è fondata su di un certo atteggiamento scettico del sapiente greco che, diffidente nei confronti dell'apparente realtà percepita dai sensi, e insoddisfatto dalle spiegazioni mitologiche e religiose, intendeva addentrarsi nei suoi intimi meandri al fine di coglierne la vera essenza universale. Ecco allora Talete, Anassimene, Anassimandro a identificare nell'acqua, nell'aria, nell'apeiron il personale ingrediente della realtà delle cose, servendosi dell'unico possibile strumento razionale a quei tempi disponibile, ovvero il pensiero-linguaggio. La scrittura alfabetica greca, più semplice, comoda, e potentemente elastica, rispetto alle lingue delle altre civiltà, era tale da consentire la creazione non solo di nuovi termini ma anche di concetti astratti. Normalmente in seno ad ogni società, e specialmente nella storia della civiltà occidentale, ogni nuovo mezzo di comunicazione di massa ha il potere di rivoluzionare in primo luogo il modo di comunicare e pensare degli uomini, e dunque anche la loro maniera di conoscere ed interpretare la realtà. Per i primi filosofi dunque la lingua scritta greca diventò così il primo "strumento", posto tra la mente e la realtà esterna, tramite il quale studiare e analizzare il mondo, la società, la religione, se stessi. Ed ovviamente anche un potente mass-medium capace di far circolare, nello spazio e nel tempo, le differenti filosofie. Nel mondo ellenistico-romano, la produzione e il commercio dei rotoli di papiro diede parecchio aiuto alla diffusione delle nuove costruzioni metafisiche come quelle di Platone ed Aristotele. Ma se da un lato questa diffusione letteraria arricchiva la vita culturale e intellettuale dei piccoli e grandi centri urbani, dall'altro presentava "l'inconveniente" - se così lo vogliamo definire in maniera piuttosto ironica – di stimolare le persone a pensare e a riflettere, a diventare esse stesse filosofi (o perlomeno a provarci) con la conseguenza di promuovere la germinazione e la diffusione di una pletora di scuole e correnti di pensiero spesso in antitesi e contraddizione tra loro. Fino alla apparentemente paradossale (ma in realtà comprensibile) nascita di una corrente filosofica che diffidava di tutte le scuole filosofiche e delle loro presunte ricette per essere felici, appunto lo Scetticismo di Pirrone, Arcesilao e seguaci, anche se in realtà sommariamente anticipato un secolo prima dal sofista Gorgia di Lentini, promotore della prima filosofia nichilista ("Nulla esiste. Se anche esistesse non sarebbe conoscibile. Se anche fosse conoscibile non sarebbe esprimibile"). Come sottolineato ad esempio da Jean Pepin (1975, v. Bibliografia), fu anche a motivo di un tale disorientamento e diffidenza fra opposti orientamenti filosofici, se il povero intellettuale metropolitano, di qualunque condizione, cominciò a reagire svalutando a sua volta la filosofia, con un atteggiamento scettico di carattere pratico più che comprensibile, e a rivolgersi ai culti religiosi di origine orientale che garantivano la salvezza in questo e nell'altro mondo. Specialmente se le nuove religioni rivestivano il carattere di verità rivelate da personalità profetiche, come Ermete "tre volte grande" (Trismegisto), Apollonio di Tiana, o Gesù il Nazareno. Il messaggio evangelico del Cristianesimo sin dall'inizio possedeva già in sé risposte e proposte esistenziali che ne assicurarono la rapida e trionfale diffusione nell'inquieto e alienante ambiente urbano: un'etica più alta, la solidarietà ed il reciproco aiuto tra i battezzati, ed in cielo niente più divinità astrali al cui fato assoggettarsi, ma una Divinità suprema che si prendeva cura dei fedeli come fossero suoi figli, i quali si sentivano molto più entusiasticamente liberi dei pagani di muoversi ed agire in un mondo sempre più "meccanico", dove le forze naturali avevano perso le loro qualità divine e animistiche, e mari e monti si ritrovavano spopolati di qualsiasi divinità, secondo quei modelli di pensiero che già Democrito e Lucrezio avevano tentato invano di imporre alla cultura greca e romana. Così come i filosofi, anche il cristiano di epoca romana svaluta e rifiuta il suo mondo, ma non come psicologica difesa rifugiandosi nell'atarassia, la rassegnata indifferenza degli scettici, bensì per crearne uno nuovo, specie sotto il punto di vista sociale, anche prima del promesso e atteso ritorno di Cristo: dopo l'Editto di Costantino e l'appoggio concesso da questo imperatore al Cristianesimo romano, molti vescovi e scrittori cristiani si domandarono se non fosse già iniziato "il Regno di Dio". Lo strumento fondamentale di diffusione e crescita culturale della nuova religione fu anche qui la distribuzione editoriale: sostituiti gli ingombranti rotoli con i "codici" (primi modelli di veri e propri "libri"), in genere di pergamena, ma talvolta, specie in Oriente, anche di papiro, gli scritti cristiani dominarono sempre più l'interesse dei lettori surclassando quasi completamente nel giro di due secoli ogni altra pubblicazione della classicità pagana, come ha mostrato Guglielmo Cavallo (2009, v. Bibliografia). Così senza alcuna forma di censura, ma semplicemente per mutato gusto del pubblico, la cultura classica pagana entrò definitivamente in crisi fino a un rapido tramonto, travolgendo con sé gli stessi editori, dal momento che tutti i testi cristiani, generalmente venivano prodotti da amanuensi all'interno delle chiese o delle prime abbazie. Paradossalmente, oltre che alle biblioteche bizantine, toccò in Occidente proprio agli scriptoria ecclesiastici ricopiare e salvare dall'oblio tutti quei classici latini e greci che da Costantino in poi gli alfabetizzati cristiani avevano rapidamente boicottato nella loro ansia di costruire una società e un mondo nuovi, a partire dalla cultura. Il binomio mass-media testuali e grandi mutamenti filosofico-culturali si ripropose prepotentemente dopo l'entrata in scena della carta e della stampa nel periodo tardo medievale e Rinascimentale, anche se con ritmi più accelerati ed ovviamente su scala maggiore. La grande disponibilità di carta non solo permise la diffusione di libri meno costosi (di cui le nascenti Università ad esempio avevano necessità), ma consentì a letterati, poeti, filosofi, ecc. di sprecare fogli sotto forma di "brutta copia" per elaborare e raffinare i propri pensieri con una originalità ed una creatività praticamente impossibile nei secoli della costosa pergamena. E l'invenzione di Gutemberg naturalmente amplificò sempre più la circolazione di testi ancora più economici ed alla portata di sempre più alfabetizzati. Da una tale esplosione editoriale e bibliofila a cui sostanzialmente devono la loro nascita l'Umanesimo e il Rinascimento, scaturirono tre "metafisiche alternative" al pensiero teologico medievale, ovvero il Protestantesimo, il recupero - in forma più estesa che nel Medioevo - dell'antica visione classica del mondo (l'armonioso aristotelismo, l'astrologia, l'ermetismo, ecc.), e la scienza galileiana. Grazie alla ormai capillare diffusione delle Bibbie stampate, all'inizio del Cinquescento Lutero poté attaccare nei suoi scritti sostanzialmente il concetto di mediazione spirituale e culturale con cui le gerarchie ecclesiastiche riservavano a sé il diritto di farsi tramite tra il singolo e Dio. Per Lutero tutti i fedeli battezzati avevano pari dignità ("sacerdozio universale") ed erano in grado di comprendere da sé le Sacre Scritture e di meditarvi sopra, senza la necessaria mediazione di nessuno ("libero esame"): ciò perché – come affermava lo stesso Lutero – il significato dei passi biblici non dipendeva dall'interpretazione della Chiesa, ma era già nel testo scritto (come – secondo Olson (1979, v. Bibliografia) – gli dimostravano gli stessi libri stampati). Come nel mondo ellenistico-romano l'individuo alfabetizzato tornò ad essere soggetto non più passivo recettore di cultura, bensì attivo protagonista del suo pensiero (prima religioso, poi anche laico) e della società in cui viveva e si muoveva che in tal maniera ne risultava in qualche modo trasformata. La reazione della Chiesa Controriformista nel controllo dell'editoria e della diffusione dei libri nei paesi cattolici fu il conseguente tentativo di congelare ogni pericolosa dinamica politica, sociale ed economica, e ciò fu anche uno dei principali motivi (anche se non l'unico) della perdita di competitività economica dell'Italia - fino alla seconda metà del Cinquecento la prima economia del mondo - a vantaggio delle nazioni del nord, Olanda e Inghilterra in primo luogo. Anche l'atteggiamento di partenza di Galileo (seguendo il medesimo spirito filologico-umanistico dell'epoca) fu di scettica diffidenza verso le verità garantite dalle autorità culturali e religiose come la tradizionale visione aristotelica del mondo e della natura (e persino nei confronti della Bibbia, o meglio, della sua interpretazione letterale, cosa che gli procurò la persecuzione da parte delle autorità ecclesiastiche). Preferì l'osservazione diretta e la verifica sperimentale, ovvero gli stessi metodi della tecnica, fondando in tal modo il metodo sperimentale. Ma analogamente a quanto avvenuto nell'antichità ellenistico-romana, dopo l'introduzione delle nuove visioni metafisiche rinascimentali – Protestantesimo, Esoterismo, Scienza moderna – si ebbe una reazione scettica ancora più radicale di quella di Pirrone, Carneade ed Enesidemo: il francese René Descartes (Cartesio) riuscì a dubitare di tutto, anche della propria esistenza. Non gli riuscì tuttavia di dubitare del proprio pensiero, e appigliandosi alla piccola àncora del "cogito" riuscì a ricostruire tutto il mondo attraverso l'idea di Dio. Conclusione scettica fu anche quella di Kant quasi due secoli dopo - al termine della disputa fra razionalisti ed empiristi - circa l'impossibilità di conoscere la vera natura della realtà al di là dei nostri sensi e dunque l'impossibilità di fondare una "scienza" della metafisica. La diffusione di innumerevoli testi storici e soprattutto della riflessione storiografica (ad es. sulle cause della caduta di Roma) sin dal XVII secolo condusse all'idea della filosofia della storia introdotta nella prima metà del XVIII secolo sia dal napoletano Vico sia dagli illuministi francesi come Voltaire, collegati alla colossale operazione editoriale dell'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert. La convinzione di un continuo progresso culturale, scientifico, tecnico e sociale venne posto a fondamento sia dell'Illuminismo, come dell'Idealismo e del Marxismo, e contro queste grandi costruzioni filosofiche si scagliò infine lo scetticismo critico di Nietzsche con un atteggiamento ancora più radicale, tanto da sfociare nel nichilismo più estremo. Il criticismo di Nietzsche è tuttavia la punta più manifesta nella seconda metà del XIX secolo di una crisi culturale incipiente e sommersa – o crisi della modernità – che preannunzia la nascita del postmodernismo. Tale crisi manifestatasi in primo luogo nella letteratura, si configura come l'abbandono del romanticismo storicista, spesso frutto di delusione nei confronti delle illusioni rivoluzionarie e risorgimentali, e il rivolgimento dell'attenzione verso la realtà, anche locale, e sociale, in tutti i suoi aspetti anche drammatici, contraddittori e paradossali. Ciò insieme all'adozione di forme e linguaggi meno retorici e più aderenti alla quotidianità, presi a prestito dallo stile giornalistico e dai dialetti. Naturalismo e Verismo in Francia ed in Italia rappresentano nel tardo Ottocento questa nuova esigenza culturale. Il fattore promotore di questo mutamento nella letteratura e nel pensiero (ma anche nelle arti figurative) non fu soltanto il clima di crisi economico-industriale della seconda metà dell'Ottocento (la prima grande crisi di sovrapproduzione a detta degli storici dell'economia), né soltanto la maggiore e più veloce circolazione di argomenti e critiche sotto forma di carta stampata, ma anche la diffusione del primo medium visivo tecnologico, ovvero la fotografia, che con il suo freddo "obiettivo" riproduceva la realtà nel suo aspetto più vero e disincantato (evidenziato involontariamente anche dai limiti del bianco e nero) ed invitava scrittori e filosofi ad una più adeguata visione del mondo: in altri articoli si è già dimostrata ad esempio la stretta relazione fra la passione fotografica di Verga, Capuana e De Roberto e la loro letteratura verista. Detto in maniera un po' generica, le potenzialità tecnologiche e culturali dei media in una certa epoca (a partire dalla scrittura) promuovono la diffusione ed il successo di nuovi sistemi letterari, culturali e filosofici, che tuttavia all'apice della loro parabola di popolarità, spingono per dissenso, oltre che alla nascita di costruzioni metafisiche alternative e specularmente antagoniste, anche ad una reazione critica di diffidenza e scetticismo, quasi come un'antitesi più radicale, che riapre nuovamente il gioco della speculazione filosofica verso ulteriori e più o meno originali costruzioni del pensiero. Il punto chiave è la capacità di un dato medium di comunicazione di trasformare le persone da semplici fruitori passivi in soggetti culturalmente attivi. Si comprende bene dunque il motivo per cui la lingua greca classica, la carta, la stampa (e dal Settecento anche la lingua tedesca, dalle potenzialità analoghe a quella greca antica) siano state in grado di promuovere la nascita delle più complesse filosofie del mondo occidentale. Non dissimile dunque la sorte del movimento postmoderno (la cui natura scettica viene rilevata anche da Michele Martelli in "Micromega", 1/11/11), sviluppatosi nel XX secolo dopo che i media visivi misero in crisi il falso ottimismo delle ideologie e delle grandi costruzioni (o meta-narrazioni) filosofiche: il marxismo ad esempio iniziò ad entrare in forte crisi dopo che le pellicole girate a Budapest e Praga nel '56 e nel '68 promossero accesi dibattiti e vaste prese di distanza anche all'interno dei partiti di sinistra occidentali, per poi definitivamente avviarsi al tramonto con il trionfo mediatico di Lech Walesa alla vigilia del crollo fisico e ideologico del Muro nell'89. La medesima tecnologia dei media visivi è stata poi utilizzata per distrarre e "anestetizzare" il popolo dei telespettatori dopo la loro quotidiana fatica, creando le televisioni commerciali con la loro paradisiaca, confortante e consumistica visione del mondo e della vita (più o meno superficiale, provinciale e incolta) e la riduzione di ogni frammento o zapping di vita catodica in un effimero oggetto di consumo, estrapolato da ogni contesto spazio-temporale (e dunque a-storico, da "eterno presente") dove persino la morale e la religione sono ridotte a marketing. Tutti elementi che hanno alimentato il medesimo atteggiamento post-moderno che tuttavia ha trovato, contemporaneamente, il suo apice e la sua crisi discendente proporzionalmente al successo di un altro mass-medium di livello globale, che noi conosciamo molto bene, ovvero la Rete. Internet rappresenta il nuovo mezzo rivoluzionario capace di rispettare e al contempo integrare le molteplici pluralità locali e individuali in una forma di comunicazione globale, dove il soggetto non è più passivo lettore o spettatore di fronte all'autorevole potere degli altri media tradizionali. Bensì è parte attiva poiché ognuno può dire la sua attraverso i social forum, i commenti in tempo reale, il proprio blog personale, riuscendo non soltanto a superare le barriere spazio-temporali, ma anche quelle delle censure: politiche, culturali, editoriali, di mercato (ma anche ad esempio "estetiche" e telegeniche: anche chi ad esempio è balbuziente o non ha una bella voce può esprimersi bene con la tastiera, e via dicendo). Dietro tutto ciò – proprio come già prevedeva il filosofo franco-algerino Jacques Derrida (1930–2004) sin dagli anni '60 – vi è stata anche un rapida "esplosione" della comunicazione scritta sin dalla nascita della Rete, anche a motivo della iniziale lentezza delle connessioni (e quindi della difficoltà a caricare immagini e video). Una delle conseguenze è stata la messa in crisi delle tradizionali autorità politiche, dai dittatori vecchio stile, agli stessi partiti politici nelle nazioni democratiche, che ob torto collo hanno dovuto dotarsi anche loro di blog e social forum. Ma anche degli stessi intellettuali, poiché è ormai frequente che i docenti si trovino meno aggiornati dei propri studenti e lettori. La Rete insomma consente ad ogni soggetto o comunità locale, di offrire al mondo intero il proprio personale "mondo" fatto di opinioni, valori, immagini, creatività e verità - "pensieri deboli" secondo la definizione di Vattimo - a volte espresse in forma spettacolare. E tutto questo pur all'interno di Internet rappresenta l'esaltazione del post-moderno (che si è espresso nella Rete proprio perché "interattiva" e non ad esempio nel mondo televisivo, per natura tecnologica troppo passivo). Ma al contempo mette ognuno di noi in confronto col mondo intero e tutte le sue potenziali critiche, approvazioni o disapprovazioni (che si esprimono anche semplicemente col "giudizio" del contatore delle visite), impensabili nel passato - e passivo - mondo televisivo. Di qui anche inevitabili ripercussioni di vario genere sul nostro modo di pensare, di esprimerci e di agire in rete, che ci spingono a rimanere in sintonia e adeguarci a certe forme e modalità di comunicazione, in primo luogo l'utilizzo di un linguaggio comune (dai significati univoci e spesso anche tecnici). Questa sintonia, tecnica e umana, non più passiva ma attiva (è proprio questo il punto), con il mondo di tanti altri utenti anche lontanissimi è l'elemento di superamento dell'atteggiamento post-moderno in una nuova dimensione di interrelazione globale e in qualche maniera totalizzante (sempre più totalizzante) da cui inevitabilmente non potrà che scaturire una nuova grande costruzione (o meta-narrazione) filosofica e metafisica, che inconsapevolmente è già in atto. Dai tempi dello scambio di semplici notizie e opinioni tramite la posta elettronica, si è passati allo scambio di risorse come software, manuali ed anche prodotti coperti da copyright (con grave danno ad esempio all'industria discografica), fino alla teorizzazione di una vera e propria filosofia della libera condivisione di risorse in rete (in primo luogo programmi e sistemi operativi come il famoso Linux) sostenuta fra i tanti dall'americano Richard Stallman. Così da diversi anni ormai si possono trovare in Internet programmi e sistemi operativi liberamente scaricabili, di molti dei quali viene concesso anche il codice sorgente (secondo la filosofia dell'"open source") liberamente modificabile da chiunque ne abbia le competenze per rendere sempre più evoluti ed efficienti i software. Ma secondo la medesima filosofia, esistono in rete documenti, immagini, enciclopedie (Wikipedia), mappe satellitari (Google Maps), ecc. ecc. liberamente consultabili e scaricabili. Il risultato di tutto ciò a livello filosofico, oltre ad una potenzialità culturale mai vista nel corso della storia umana, è anche lo sviluppo di un mondo virtuale percepito dalle nuove generazioni come "orizzontale", paritetico ed egualitario, nel quale la solidarietà e l'aiuto sono un piacere/dovere autogratificante, le opinioni di ciascuno valgono in partenza quanto quelle di tutti, senza alcun ossequio al vetusto e conformista principio di autorità ("prof." e "dott." in rete non valgono quanto nei bigliettini da visita), e dove le uniche qualità per emergere in rete (in un certo senso richieste dalla stessa logica di Internet) sono le competenze nella proprietà di linguaggio e nella capacità di dare risposte (di qualunque genere: dai problemi di connessione in rete, al compito di matematica, fino alla strategia migliore per conquistare la più carina della scuola, e via dicendo). Quella fiducia nelle verità sorrette dalle autorità (politiche, culturali, scientifiche, ecc.) messa definitivamente in crisi proprio dalla Rete viene recuperata al livello della base, ad esempio con i dibattiti ben documentati sui beni comuni, le grandi opere (come la TAV in Piemonte), o i video di denuncia. E' una costante di ogni nuovo mezzo di comunicazione di massa – sin dal tempo del passaggio dalla tradizione orale a quella scritta – la capacità di dare sempre maggior grado di autenticità e obiettività agli eventi ed alla verità documentata: l'invenzione della stampa con la sua capacità di moltiplicazione delle copie di ogni singolo testo, eliminò le possibilità di errori e contraffazioni da parte degli amanuensi dell'età antica e medievale; e le tecnologie visive, dalla fotografia alle attuali videocamere hanno reso possibile una rappresentazione dei fatti sempre meno soggettiva, sempre più slegata cioè dalla libera interpretazione che inevitabilmente vi è sempre in qualsiasi descrizione (sia da parte di chi scrive che di chi legge). In Internet – paradossalmente proprio grazie al gran numero di "bufale" e smentite – l'autenticità, la verità, vengono garantite dalla capacità degli stessi navigatori (sempre più "smaliziati" ed accorti esegeti) di scoprire errori ed inganni (di "de-costruire", avrebbe detto Derrida, la logica della fallacia) e di lanciare prontamente "l'allarme" in rete. Ciò che tuttavia è meritevole di attenzione è soprattutto il fenomeno inverso, ovvero il tentativo da parte delle nuove generazioni di ricostruire anche il mondo reale sul modello della Rete, con i medesimi valori di uguaglianza, solidarietà e condivisione delle risorse. Questo non soltanto nel mondo occidentale ma anche nei paesi a democrazia limitata, dove spesso i social forum come Facebook o Twitter si sono dimostrati il mezzo privilegiato per la chiamata al dissenso e alla discesa in piazza. Si ripropone dunque anche nel caso di Internet – con dimensioni di scala enormemente più vaste – ciò che nel corso della storia ogni rivoluzione mediatica fondata sul testo scritto (codici cristiani, stampa, giornali) ha promosso, ovvero la ricostruzione della realtà, sociale, economica e politica, sulla base delle proprie regole. Consapevolmente o meno, ciò porta anche ad un recupero della dimensione "storica" e temporale (anche se spesso limitata alla realtà locale), sotto forma di ambientalismo, tradizionalismo, difesa dei beni comuni, progetto di costruzione di un futuro dove "un mondo migliore è possibile". Presupposto di tutto ciò – e contemporaneamente substrato di fondo di questa nuova nascente filosofia – è la rimozione di ogni barriera alla comunicazione, da quelle tecniche a quelle più umane e soggettive come l'adozione della "universal language", la lingua di Bill Gates, di Steve Jobs e Richard Stallman, in vista di una crescente spinta alla connettività, alla solidarietà ed alla collaborazione virtuale. Anche al livello biologico, la comunicazione è infatti il presupposto fondamentale di ogni forma di cooperazione, animale e umana. Prima o poi sempre più giovani utenti della rete finiranno per convincersi – ammesso che non lo siano già adesso - che il web è l'apice del progresso dei mezzi di comunicazione, e quest'idea comporterà un recupero dell'idea di progresso (perlomeno dei media) e dunque anche, di fatto, la nascita di una nuova costruzione filosofica (o "meta-narrazione"). Il XX secolo ha visto numerose personalità della cultura impegnarsi in una seria riflessione su linguaggi formali, non verbali e artistici, su psicologia, mezzi e forme di comunicazione e loro ripercussioni su individui e società (né poteva essere diversamente nel secolo del cinema, della radio e della televisione). Ma da un paio di decenni tutta questa secolare analisi e critica mass-mediologica, viene ora messa di fronte al nuovo grande medium planetario, che segna per di più un abisso di incomprensione fra vecchie e nuove generazioni, dal momento che il cosiddetto "divario digitale" non è soltanto un handicap tecnologico, ma in primo luogo culturale e sociologico. Anziché temerlo (secondo il pensiero dei post-moderni) ci si dovrebbe augurare al contrario che sorga una nuova costruzione filosofica che abbia al centro il ruolo dei media nell'evoluzione e maturazione storica (culturale, politica, etica, ecc.) dell'individuo, e che dunque possa rendere pienamente conto della condizione socio-tecnologica del mondo presente. Del resto sin dalla preistoria il modo di vedere il mondo, di pensare e di agire di ogni uomo, anche del più ignorante, è sempre stato "mediato" dai media, a partire dall'insegnamento verbale dei genitori ai propri figli. I mezzi di comunicazione di massa, con tutte le loro potenzialità determinate dalla loro propria tecnologia, potrebbero realmente rappresentare allora l'anello di congiunzione tra condizioni materiali da un lato e progresso filosofico-culturale dall'altro, le due facce di una stessa medaglia che promuovono ogni dialettica storica, rappresentando in un certo qual modo come la sintesi tra materialismo storico e idealismo hegeliano. Comunque sia, è un fatto certo che mai come oggi sempre più larghi strati di utenti della Rete, di qualsiasi nazione, più o meno sviluppata, si siano trasformati da semplici elementi passivi anonimi e politicamente e culturalmente poco significativi, in soggetti attivi, informati e pensanti che – come già detto - non mancano di far sentire la propria voce, attraverso forum, televoti, referendum on line e blog, in ogni angolo del web. Ci si domanda con non poca curiosità: cosa ne sarà della politica e delle sue forme tradizionali (partiti, comizi, elezioni, referendum, ecc.), del dinamismo sociale, e degli stessi tradizionali mass-media (giornali, cinema, televisione) messi sempre più in crisi dalle nuove tecnologie? Qualunque possano essere le opinioni e le conclusioni, la cosa peggiore, comunque, sarà quella di non affrontare l'argomento. FONTI DI RIFERIMENTO Gianni Vattimo, Postmodernità, video-lezione in: www.youtube.com Paolo Flores D'Arcais, Per farla finita con il postmoderno, in: micromega-online Maurizio Ferraris, Gianni Vattimo, L'addio al pensiero debole che divide i filosofi, in: micromega-online Michele Martelli, Debolismo, nuovo realismo o scetticismo?, in: micromega-online Jean Pepin, L'incontro delle religioni orientali e della filosofia greca in: Storia della Filosofia, Vallardi, vol. IV, 1975 (p. 302) Guglielmo Cavallo, Libri e pubblico nel mondo antico, in: Libri, editori e pubblico nel mondo antico, 2009, Laterza David R. Olson, Linguaggi, media e processi educativi 1979, Loescher Maurizio Ferraris, Derrida e la decostruzione 2011, La Repubblica – L'espresso |