Brendan Francis Behan, poeta e scrittore irlandese, scrisse che "la grande differenza fra il sesso a pagamento e il sesso gratuito è che di solito il sesso a pagamento costa molto meno": chissà se anche Fabrizio De André pensava la stessa cosa quando iniziò a frequentare via Prè, via del Campo e le decine di carruggi della sua Genova anni '50/'60 alla scoperta di un mondo abitato da prostitute, ladri, ubriachi, drogati. Una fauna umana che trovò in De André il loro poeta, il cantore degli ultimi che non aveva paura a dire di frequentare le donne allegre: le cercava, le ascoltava, le amava di un affetto sincero e profondo. A vent'anni, Fabrizio si mise con Anna, una prostituta nota come "la Gorilla" a causa della sua folta peluria: "lavorava in via XX Settembre - scrive Luigi Viva nel suo "Vita di Fabrizio De Andrè" - e, dalla parte opposta al marciapiede su cui batteva, c'era il bar Olimpia". Al bar Fabrizio e Anna compravano il cognac per poi ritirarsi in una vicina pensione dove, tra un bicchiere e un altro, parlavano delle loro vite e facevano l'amore: "la relazione durò circa un anno e mezzo, dal '60 al '61".
Nelle sue canzoni De André ha sempre voluto ricordare la vita delle tante donne che, per un motivo o per l'altro, finivano sulla strada, in quel labirinto di vie che è la vecchia Genova: le prostitute di De André hanno spesso un'aura romantica, come la puttana di via del Campo con "gli occhi grigi color di foglia, se di amarla ti vien la voglia, basta prenderla per la mano": un sorriso di lei e per il cliente si aprono le porte del paradiso. Etichettate dalla società, malviste dai benpensanti, le prostitute di De André assumon i tratti della Maria Maddalena in una sorta di religione laica (o profana) che assicura la salvezza a tutti, soprattutto agli ultimi, a coloro che "se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo". Un insieme di anime salve che va dalla bambina che ne La città vecchia canta "la canzone antica della donnaccia" al vecchio professore che ogni mese spende "diecimila lire per sentir(s)i dire: micio bello e bamboccione", passando per la famosa "Bocca di rosa" che, per la sua passione, visto che non lo faceva né per noia né per professione, si vede appiccicata addosso l'etichetta di prostituta dalle altre donne. Non sempre l'alone di romanticismo, però, difende le donne di strada di De André: benché abbia nobilitato il mestiere e quasi idealizzato il rito, Fabrizio non dimenticò i risvolti più ardui, quelli più drammatici, come la triste vicenda di Marinella (tratta da una storia vera) o la "Maggie uccisa in un bordello dalle carezze di un animale" de La Collina o ancora Nancy che "cercò dal terzo piano la sua serenità". La libertà di un sesso senza falsi pudori si unisce alla schiavitù del proprio destino in "Jamin-a", la regine delle prostitute, "lingua infuocata, lupa di pelle scura" o in quello di Prinçesa, il transessuale brasiliano che in Anime salve racconta il travaglio della conquista di una nuova identità sessuale. Personaggi, storie e racconti che Fabrizio De Andrè non dimenticò mai: la sua vita nei carruggi, i suoi incontri, i suoi amori intensi, che duravano a volte lo spazio di una sola nottata, ma che lasciavano dentro al poeta genovese qualcosa in più di un semplice appagamento sessuale: quella vicinanza ideale a un mondo che altri dimenticavano e che lui, come sempre "in direzione ostinata e contraria" ha voluto ricordare e narrare come splendido esempio di umanità. |