Il capitolo dedicato a Fabrizio De André è di Giordano Meacci, Manuela Di Roberto, Francesca Serafini, Gaia Vendettoli.
"Le ho scritte così, come mi hanno aggredito, per incontenibile affiorare di memoria. Di solito l'attualità che mi aveva colpito era passata attraverso un processo di metabolizzaione: magari bastavano due giorni, altre volte qualche mese. Una memoria che mi arrivava già distorta quindi, proprio come la volevo, altrimenti mi sarebbe servita per qualche articolo di cronaca. Talvolta il ricordo mi arrivava da molto lontano, dai balli a palchetto nelle campagne astigiane degli anni 50 dove un paio di labbra impasticciate di viola, la cucitura di una calza di seta che scompariva nella terra promessa, il balcone dipinto di verde della casa di mia nonna diventavano i particolari di una memoria diversa e più recente, dalle labbra di Bocca di rosa alla disperata attrazione per la stanza semibuia di Via del campo. Altre volte affioravano in superficie immagini di realtà descritte da altri come la tragica fine di Marinella e io, mosso da un sentimento di pura pietà e tentando di restituirla ad una morte meno drammatica che ne prevedesse necessariamente una vita più fortunata, ne agganciavo la figura ad una fidanzatina con sui si andava con torpedone e coperta ad amoreggiare sulle alture di Camogli. Ma più mi affinavo nell'osservazione di particolari magari insignificanti ma che, commistionati alle memorie distanti o a breve e comunque distorte, potevano rendere tali particolari eclatanti e singolari nello svolgimento del racconto, più mi rendevo conto di eludere la vera umana conoscenza delle persone che costringevo ad assumere nelle canzoni i connotati del personaggio... [Fabrizio De Andrè, postfazione]