• Un libro su De André che sembra parlare la sua stessa lingua, quella della "memoria" e delle voci dentro, perché sceglie di stare sulla soglia tra la biografia, che l'autrice dice di non poter fare non avendolo conosciuto di persona, e una trattazione strettamente culturale. Così facendo queste brevi ma intense pagine, nel ripercorrere il tessuto affabulatorio delle canzoni poetiche di Fabrizio De André, seguendo il "filo di Arianna" della metafora del volo, finiscono per ripercorrere insieme i sentieri dei suoi versi e i sentieri della sua vita, tra loro inscindibili. Ce lo fanno ritrovare bambino a giocare con gli zingari nel bosco, dove scopre che tutti gli esseri umani hanno un'anima, anche i gatti del porto della sua infanzia, perché in comunicazione con spiriti viventi, in un grande respiro animistico. Ritroviamo le sue trepidazioni, il suo bisogno d'attenzione e d'amore, la sua propensione per l'anarchia, la tristezza vaga del suo sguardo e infine tutti quei "segni di addio" in una consapevolezza che precede il conoscere di una morte che non si può cercare, ma neanche cercare di fuggirne. I richiami culturali spaziano in un vasto orizzonte poetico-filosofico e insieme simbolico e mitologico, dove la dimensione del volo diventa il contenuto e la forma della "poesia" di un "cantastorie", che è riuscito in molti sensi nella sua aspirazione forse troppo ambiziosa di tracciare l'immagine di un ponte tra la lingua parlata e quella scritta, perché nella dimensione metaforica delle sue parole cantate la cultura popolare e quella letteraria sembrano incontrarsi e la musica accompagna l’emozione del ricordo e del sentimento. [risvolto di copertina]



    Bibliosofica, Roma, 2000
    ISBN 978-8887660029
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