De André si pone dalla parte degli ultimi con gli strumenti dell'arte, raccontando storie, senza enunciare programmi, salvando dall’oblio un'umanità derelitta, marginale, esclusa. Ma non si tratta di un'ingenua idealizzazione dell'umanità derelitta o delle culture arcaiche; l'opera di De André costituisce un itinerario consapevole, sempre maturo e rigoroso, di decostruzione della realtà. Armando Bartolini, nel suo libro sugli "Apocrifi" di De André, evidenzia i passaggi più importanti, nel lungo percorso artistico del cantante genovese, di questa operazione di "smontaggio" della realtà, per poi reintegrare la stessa realtà in un "rimontaggio" che tiene conto di una visione interculturale. De André raccoglie con pudore i "frammenti di umanità" – gli "apocrifi", cioè i "nascosti", i "fuori dai confini del perbenismo", gli amati da De André – ovunque si trovino, nel letame o nella città vecchia, sulla via della croce o sui belvedere delle torri. L'immagine simbolo che il libro di Bartolini sceglie per sintetizzare l’intero percorso di De André e che da sola riassume quanto ci ha lasciato con le sue circa 200 canzoni è quella della carezza, vero e concreto esempio di decostruzione, di deposizione dell'io dal suo piedistallo, di superamento dell'hybris (violenza, prepotenza) primordiale. Il gesto della carezza è una spina nel fianco di una storia umana quasi sempre letta dal punto di vista della potenza, dell'identità forte, delle certezze, del comprendere e possedere. Dentro il gesto della carezza c'è la conoscenza che riconosce il limite costituito dall'inafferrabilità del mistero dell'altro; dentro la carezza c'è il senso vero della libertà chiamata a farsi obbedienza e responsabilità; dentro la carezza c'è la rinuncia al possesso per costruire reciprocità. (dall'introduzione di Luca Gaggioli)