A diciotto, vent'anni, la sua massima aspirazione era fare un po' di soldi per comperare una fattoria e andare a vivere in campagna.
[G. Cardillo, in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000] Aborriva l'approssimazione. Amava la trasparenza di pensiero. Quando s'imbatteva in un'intervista, preferiva rispondere per iscritto. E si prendeva del tempo. Perché gliene occorreva per riflettere, temendo l'imprecisione e la superficialità. [D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, terza edizione: 1999] C'era una volta un bambino bellissimo. Era biondo. Gli piaceva guardare il mare e sognare, guardare le nuvole e sognare, guardare le bambine e sognare. Viveva con una mamma bellissima, un papà bellissimo, un fratello bellissimo, una nonna bellissima, in una casa bellissima, in una città bellissima. Poi era cominciata la scuola, che non era bellissima, e il bambino preferiva restare nascosto per strada, dove vedeva il mare e le nuvole, lo scirocco che sugli scogli diventava libeccio, i gabbiani eleganti che planavano adagio sulla spuma arricciata. I maestri non erano bellissimi, e il bambino preferiva tornare presto a casa, guardare i libri del papà, ascoltare i racconti della mamma, inventare storie col fratellino. Poi la mamma bellissima gli aveva messo vicino un violino e un maestro, e il bambino non si divertiva a studiarlo, dava al maestro dei pasticcini di panna perché suonasse per lui e invece di suonare leggeva favole di viaggio, finché la mamma se ne era accorta, ohi ohi ohi, lezioni e pasticcini erano finiti, ma non era finito il mare, non erano finite le nuvole, non erano finiti i sogni. Se ne era accorta la bellissima nonna, e aveva portato il bambino in campagna, gli aveva fatto vedere le piante e le foglie, quando escono piccole, bellissime da un ramo, e diventano grandi ma sono sempre bellissime; gli aveva fatto vedere una carota rosata diventare grande e bellissima, un pomodoro diventare rosso e bellissimo, l'erba diventare verde e bellissima. Intanto una bambina bellissima cantava una canzoncina qualunque, e al bambino era sembrata bellissima e la cantava con lei, e poi senza di lei; la cantava e sognava le nuvole e i boschi, sognava i prati e i profumi, i sorrisi e le lacrime: sognava il mondo bellissimo che c'era lì attorno. Poi, sempre bellissimo ma non più bambino, un'estate ha conosciuto in Sardegna prati e boschi in collina, profumi e fiori nell'aria, delfini e rocce nel mare, sempre bellissimi, che gli hanno fatto vedere soltanto sorrisi, perché anche le lacrime erano bellissime, ormai: erano lacrime, ma già dell'amore. Così in Sardegna è rimasto: era diventato un ragazzo e poi un uomo bellissimo, aveva fatto figli bellissimi e sempre bellissimi sogni. Ma i sogni oramai li chiamava canzoni. [F. Pivano, dal sito della Fondazione De André] Diceva le cose che pensava e diceva anche delle cose pesantissime che sbragavano la gente. La sincerità credo che sia poi la cosa che ci ha fatto restare amici per tanti anni. Sincerità assoluta, anche brutale, che non bada a niente e, delle volte, è anche un difetto: questo è il mio ricordo di Fabrizio. Era un uomo sincerto e fragile, con una paura matta di andare davanti alla gente a cantare. [Gino Paoli, in Volammo davvero (a cura di Elena Valdini", RCS Libri, Milano 2007, p. III] Fabrizio, contraddicendo le sue origini di "privilegiato", apprenderà, e imparerà ad amare, in maniera trasgressiva, istintiva e dolce, i vicoli poveri, gli emarginati, gli ambienti "malfamati", ma pullulanti di vita, degli angoli più riposti, più trascurati e, insieme più umanamente significativi della sua città. [N. Ricordi, in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000] Fabrizio è uno che si è sempre fatto i fatti suoi, ma in senso positivo, ossia non ha mai disconosciuto ciò che era, ma non ne ha mai fatto una bandiera da sventolare fuori dal balcone, insomma si è comportato sempre con una certa coerenza. Come tutti i liguri aveva una certa difficoltà nel manifestare il suo affetto. Per me Fabrizio rimane comunque la persona più affettuosa che ho conosciuto. [S. Saccardi, in Volammo davvero, BUR, Milano 2007] Fabrizio era un grande anche in questo. Era un animale notturno. Mangiava, beveva, fumava, scrivera, leggeva, viveva di notte. [M. Bubola, in Massimo Cotto, Fabrizio De André raccontato da Massimo Bubola, Aliberti, Reggio Emilia 2006, p. 18] Fabrizio era una persona estremamente a modo, educata, gentile, di ottimi maniere. Sapeva mettere tutti a proprio agio. [M. Bubola, in Massimo Cotto, Fabrizio De André raccontato da Massimo Bubola, Aliberti, Reggio Emilia 2006, p. 21] Fabrizio ha sempre avuto un istintivo e spontaneo senso di rivolta, era un contestatore naturale, non mediato da trame culturali, né politiche né filosofiche. La caratteristica più tipica di Fabrizio era proprio questa straordinaria autenticità. (...) Era un borghese di nascita che però non voleva esserlo, era molto critico in maniera viscerale, ma non estremista. Pur vestendo in giacca era l'anticonformista per eccellenza, non per scelta, era una sua dote naturale che poi è venuta fuori anche nella musica, nei temi che tocca, stava dalla parte dei più deboli, dei disoccupati, delle puttane. [A. Oliva, in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000] Fabrizio per le donne, per tutte le donne, ha sempre avuto un debole e mai si è tirato indietro di fronte a una possibile avventura o a un grande amore. [L. Viva, Vita di Fabrizio De André] Fabrizio piaceva molto alle donne, anche se era un timido; piaceva per quello stile un po' maledetto francese. [B. Piroddi, in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000] Fabrizio vedeva nel popolo rom un popolo fiero, libero, che non ha mai partecipato a una guerra ma che dalle guerre è sempre stato persguitato e distrutto. [G. Bezzecchi, in Volammo davvero (a cura di Elena Valdini), RCS Libri, Milano 2007, p. 35] La stessa cosa che a me e agli altri compagni di scuola ha sempre fatto un po' invidia era il suo rapporto privilegiato con le ragazze. Era un'epoca nella quale era molto difficile entrare in contatto con l'altro sesso; quando andavo a casa sua mi rendevo conto che lui riceveva telefonate in quantità da ragazze e per di più le maltrattava: "Ma cosa vuoi! Ma va' via! Ma piantala!", e metteva giù, e per me era una cosa assolutamente stupefacente. [F. Bertini, in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000] Mi ricordo che lo prendevamo in giro perché era un gran vanitoso, ed era sempre lì a specchiarsi nei vetri delle finestre delle aule. Era vanitosissimo, portava sempre un montgomery bianco e aveva una predilezione per quel colore, che amava indossare molto spesso. [...] Nonostante venisse da una famiglia così importante, non si dava affatto delle arie, anzi venne al Colombo proprio per non frequentare la stessa scuola del fratello. Non si può dire che fosse un conformista, era un ribelle, è sempre stato una persona ribelle. [C. Aloisi, in L. Viva, Vita di Fabrizio De André, Feltrinelli, Milano 2000] Un artista, un uomo che possedeva ideali ben precisi. Serio, composto. Più delle rievocazioni che hanno accompagnato la sua scomparsa: ormai il dolore non si accompagna al silenzio, al rimpianto e alla preghiera. Grande spazio sui quotidiani: anche sei pagine. Figurerà nell'aggiornamento della Treccani: lo merita. [E. Biagi, Dizionario del Novecento, Rizzoli, Milano 2011] Un uomo che non ha mai avuto la pretesa di insegnare nulla e che quindi, senza volerlo, è stato un maestro per tutti. [A. Franchini, Uomini e donne di Fabrizio De André, Fratelli Frilli Editori, Genova 2000] |