Riporto qui alcune delle numerosissime esternazioni espresse nel giorno stesso della morte di Fabrizio De André (11 gennaio 1999) o in quelli immediatamente successivi.
Le prime quattro citazioni sono tratte dai numerosi messaggi fatti affluire al quotidiano la Repubblica o al suo supplemento Musica! o, ancora, al sito repubblica.it del medesimo quotidiano.
"Ho scoperto Fabrizio trent'anni fa; nulla ha inciso, nella mia formazione di ragazzo e di uomo, più di quella esperienza. Oggi è uno dei giorni più tristi della mia vita: ho perso il mio migliore amico."
[Antonino]
"Mio padre mi ha fatto nascere con la tua musica nelle orecchie. La ninna nanna erano le tue canzoni. Ora rappresentano i miei ideali, e lo saranno sempre... Grazie papà. Grazie Fabrizio."
[Daniele]
"Non piango per Fabrizio ma per me. Per non aver avuto il coraggio di cercarlo di persona quando era vivo, stringergli la mano e sussurrargli la mia gratitudine. Ora so che non potrò più farlo, e questo mi pesa."
[Danilo]
"Ho imparato più da tre minuti di una tua canzone che da tutto quello che mi hanno insegnato a scuola."
[Stefano]
Un rapido commento per queste commosse testimonianze...
Le parole di Antonino indicano il senso che l'arte di De André ha avuto per molti giovani della sua epoca, per i quali egli è stato un maestro di cultura e soprattutto di vita, alla pari di quei grandi poeti (personalmente penso a Leopardi, Rimbaud, Montale, Saint-John Perse, ma ciascuno può pensare ai propri) grazie ai quali è possibile vivere... esperienze sconosciute.
Quelle di Daniele, una volta tanto, testimoniano l'affetto e la riconoscenza che un figlio nutre verso il proprio padre, per un fatto apparentemente banale o secondario, ma che in realtà si è rivelato fondamentale a livello educativo.
Quelle di Danilo potrebbero servire da incitamento, per chi ne avvertisse l'esigenza, a non rinviare il tentativo di incontrare le persone che si stimano. Tuttavia non sarà superfluo ricordare che lo stesso De André, a proposito dell'amato Brassens, ebbe a dire: "Fu il mio grande modello anche se, avendone avuta l'occasione, ho sempre evitato di conoscerlo di persona: mi serviva troppo tenermelo come mito; se questo mito, conoscendolo, fosse crollato mi sarebbe crollato il mondo. Sicché, ho preferito immaginarmelo soltanto attraverso le sue canzoni".
Inine, le poche, intense parole di Stefano dimostrano come i luoghi dell'apprendimento siano anche (e forse soprattutto) altrove rispetto alle aule scolastiche.
Riprendiamo le nostre citazioni. Quelle che seguono sono stralci di alcune agenzie ANSA, riportate su Internet il giorno stesso della morte di Fabrizio o il giorno dopo.
"Eravamo molto simili di carattere": così Gigi Riva ricorda commosso l'amico scomparso. "La prima volta che l'ho incontrato - racconta - è stato nella sua casa di Genova. Io ero un suo ammiratore. Penso di essere stato uno dei primi estimatori delle sue canzoni. Anche lui voleva conoscermi e l'incontro fu organizzato da alcuni giocatori del Genoa. Per dire quanto fossimo simili di carattere - ha aggiunto - in quell'occasione credo che in un quarto d'ora abbiamo detto sì e no tre parole in due. Poi, dopo qualche whisky, ci siamo sciolti."
Fabrizio ha avuto un ruolo fondamentale nella giovinezza di Riva. "Mi ha accompagnato per tanti anni - ricorda oggi l'ex bomber - con la sua musica e le sue canzoni. Ci stimavamo. Io gli avevo regalato una mia maglietta e lui una delle sue chitarre. Lascia un vuoto che non potrà essere colmato. Era un poeta, uno che accompagnava con la sua musica le sue poesie. Dopo Battisti ora, con De André, se ne va un altro pezzo importante della mia e della nostra vita."
(Cagliari, 11 gen.)
"Aveva dato voce all'inquietudine esistenziale dell'uomo d'oggi". In questi termini, oggi, la Radio Vaticana dedica una propria nota alla morte di Fabrizio De André. "Veniva dall'alta borghesia - prosegue la nota - ma ha passato la vita a denunciare le ipocrisie del vivere borghese. Molti i suoi successi, a dispetto di una scarsa discografia e di tematiche scomode. Della sua Genova aveva cantato il lato più torbido, della vita quello più drammatico. (...) La sua voce, calda nel timbro e fredda nel fraseggio, aveva cantato il lato oscuro del mondo. Non la dimenticheremo."
(Città del Vaticano, 11 gen.)
"Abbiamo perso con Fabrizio De André un grande poeta, uno dei più coerenti testimoni delle inquietudini e degli interrogativi della società italiana degli ultimi trent'anni". Carlo Castellano, presidente e amministratore delegato di Esaote Biomedica, ricorda così l'ex compagno di gioventù. Lo aveva conosciuto ai tempi della scuola, al liceo Colombo.
"Con la sua persona, le sue contraddizioni e i suoi slanci - prosegue Castellano - De André [...] ha visto il disagio giovanile, i problemi di una Sardegna inquieta e tragica, il rapporto tra perbenismo e i valori veri della società. Questo è De André. Un personaggio importante della nostra cultura e del nostro paese".
(Genova, 11 gen.)
"Era intelligente, geniale, allegro, spiritoso, squinternato, un po' vanitoso, snob: non era triste, come voleva l'immagine pubblica che gli avevano dipinto addosso. Era un anarchico, grande poeta." Paolo Villaggio, uno degli amici d'infanzia di Fabrizio De André, lo ricorda così, in maniera scarna ma profonda, a tinte forti, quasi volesse sottrarsi alla retorica che circonda talvolta la morte di personaggi celebri.
(Genova, 11 gen.)
"Con lui - commenta Cristiano - abbiamo perso un artista che aveva ancora tante cose da dare, da comunicare. È stato un grande poeta, come ha detto il suo amico Paolo Villaggio."
Dal padre, che ha accompagnato in molte tournée, Cristiano spiega di aver imparato soprattutto la coerenza. "Mi ha insegnato che è importante parlare solo quando si ha qualcosa da dire. Gli invidiavo la sua forza d'animo, la sua volontà."
Era un grande artista, riconosciuto da tutti, ma anche un uomo umile, timido. "Spesso si sottovalutava - dice il figlio -, era timoroso del giudizio del pubblico. Per questo i concerti, le tournée, lo mettevano sempre in ansia."
(Milano, 11 gen.)
"Fabrizio non è morto. Vivrà sempre negli spazi profumati della poesia, che è eterna". Gli occhi ricolmi di lacrime, la voce rotta dal pianto, Fernanda Pivano esce dalla camera mortuaria dell'Isituto Tumori di Milano, nel pomeriggio, dopo aver trascorso un'ora e mezza accanto alla salma di Fabrizio De André, insieme ai suoi familiari e agli amici più intimi, che hanno vegliato il cantautore per tutto il pomeriggio.
(Milano, 12 gen.)
"Fabrizio De André è stato un mito in Italia, così come Jacques Brel e Georges Brassens in Francia". Così, oggi, Le Monde ricorda Fabrizio De André in un lungo articolo dedicato al Georges Brassens italiano.
"Fabrizio De André - scrive il quotidiano - appartiene alla generazione della chitarra acustica, compositore che curava le melodie che venivano riprese nei circoli militanti. Ma molto rapidamente divenne un musicista eclettico, che non disdegnava - come Leo Ferré - le grandezze sinfoniche. Seppe mescolare benissimo i generi e gli strumenti: barocco (la musica delle tradizioni medievali, le processioni popolari), contadina (arrangiamenti con cornette, tube, mandolini), rock, swing, rhytm & blues, ed evocazioni orientali, spesso con risultati di rara finezza. È il caso di Le Nuvole, apparso nel 1990, ed ispirato ad Aristofane. In italiano, in genovese, l'autore vi fustiga una società incapace di pronunciarsi sul proprio futuro, dipendente dalla televisione, smantellata dalla corruzione politica, ma dove il sogno musicale è ancora possibile."
(Parigi, "Le monde", 12 gen.)
"Con la morte di Fabrizio De André la cultura del nostro paese si impoverisce gravemente." È quanto afferma in una dichiarazione il presidente del Pdci Armando Cossutta commentando la notizia della morte del cantautore genovese. "Con Fabrizio De André se ne va il senso di un impegno civile, politico. Le sue canzoni resteranno come preziosa eredità per tutti."
(Roma, 11 gen.)
"Uno spartiacque fondamentale nella musica italiana...": così Renzo Arbore definisce Fabrizio De André. "Il primo a coniugare felicemente la semplicità della musica popolare con la raffinatezza dei testi. (...) Uno dei pochi per cui valga davvero la pena di spendere la parola poeta."
(Roma, 11 gen.)
"Un amico caro, una persona eccezionale." Troppo colpito per poter parlare della immensa statura artistica di Fabrizio, Venditti si sofferma brevemente sul ricordo di un amico "che lascia dietro di sé tanto dolore. Con Fabrizio - ha detto il cantautore romano - il legame non si è mai allentato. Ho seguito la sua malattia, e ho sperato con lui. Avevamo un rapporto profondissimo, sono veramente senza parole. Eppoi - ha concluso Venditti - a che servono le parole? Ciò che ha fatto Fabrizio De André in trent'anni, e ciò che ha rappresentato per la musica, sono fatti che parlano da soli."
(Roma, 11 gen.)
Silenzio, commozione, incredulità sono le sensazioni suscitate nel mondo della musica e dello spettacolo dalla morte di Fabrizio De André: "Se n'è andato un grande della nostra cultura", ha detto Pino Daniele.
Gianna Nannini, legata a De André da "lunga, profonda conoscenza", è sconvolta: "Era un punto di riferimento, una sorta di padre ispiratore. Sono sconvolta; per vent'anni non ci siamo mai persi di vista, e ultimamente ci eravamo visti spesso. Credo che Fabrizio lasci un vuoto incolmabile."
Profondamente provato dalla scomparsa di De André è Fabio Fazio, grande fan e amico del cantautore. Coerente con la volontà di restare al riparo dalla retorica o dalle dichiarazioni di prammatica, Fazio ha preferito evitare qualsiasi commento sulla scompara: "In questi casi - ha detto ai suoi collaboratori - si chiedono alle persone note parole che servano a consolare la gente. Io sono tra quei tantissimi che hanno bisogno di essere consolati."
(Roma, 11 gen.)
"Più di una generazione sarà sempre grata a Fabrizio De André per ciò che ha dato e che non muore con lui": Fausto Bertinotti è addolorato per la scomparsa di De André, che è stato il cantore della "dissacrazione dei falsi miti del moralismo borghese. Ha saputo raccogliere e interpretare i sentimenti e le condizioni degli ultimi". Il segretario del Prc sottolinea che la musica e la cultura italiana perdono "uno dei suoi protagonisti più creativi e innovativi. [...] De André ha saputo dare voce e rappresentare le inquietudini dei giovani e il loro bisogno di rivolta. Ha saputo valorizzare la tradizione e la musica popolare, a cui ha dato dignità culturale inserendola in un contesto musicale di assoluta modernità. Anche grazie alla sua opera, la canzone italiana ha acquistato dimensione europea. Vivo con tristezza la scomparsa di un uomo che, anche nel suo stile di vita, ha continuamente interpretato e proposto un modello di artista non mercantile e non banalmente spettacolare."
(Roma, 11 gen.)
Non solo un grande artista ma anche un grande uomo è De André nel ricordo di Vasco Rossi. "Ho conosciuto De André prima come artista - ha detto - e l'ho amato subito. Poi ho avuto la fortuna di conoscerlo come uomo e non mi ha mai deluso, cosa non facile. Un grande artista e un grande uomo."
(Roma, 11 gen.)
"Una persona di grandissima ricchezza umana, con una cultura immensa, che si orientava su tutto". Questo il ricordo che Fabrizio De André ha lasciato in Massimo Bubola, il cantautore veronese che con lui aveva condiviso, già dal 1976, alcune esperienze musicali, da Rimini e L'indiano fino a Don Raffaè. Fa fatica a parlare Bubola, che anche di recente aveva incontrato De André a Milano. "È difficile - dice - scavare nei ricordi ora. Fabrizio non amava essere compatito, era una persona fiera. Si parlava di film, libri e dischi, poesia e romanzi". (...) Bubola aveva solo 21 anni quando conobbe De André, allora già un uomo di 37. "Mi ha fatto amare Brassens e scoprire Lorca. Aveva un approccio fresco con la poesia: diceva questo è un bel verso e mi spiegava che non bisogna farsi incantare dalla scatola, dalla formula e dal nome."
(Verona, 11 gen.)
Le espressioni di affetto, di dolore, di rimpianto, spesso di rabbia impotente, manifestate durante i primissimi giorni dalla scomparsa di De André potrebbero continuare per ore. Risulterebbero però, per quanto (e anzi proprio perché) estremamente sincere e commoventi, concettualmente ripetitive. Quello che può essere sottolineato, anche sulla base dell'esile florilegio proposto, è l'uniformità del giudizio di valore che riguarda sia l'uomo sia l'opera.
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