• Fondamentale, per la comprensione di quest'album tratto dalla Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, è indubbiamente l'intervista rilasciata dall'autore a Fernanda Pivano, la celebre traduttrice del grande poeta americano.
    Il testo, riportato integralmente, fungeva da presentazione al disco.


    - Hai voglia di raccontarci come ti è venuto in mente di fare questo disco?
    - Spoon River l'ho letto da ragazzo, avrò avuto 18 anni. Mi era piaciuto, e non so perché mi fosse piaciuto, forse perché in questi personaggi ci trovavo qualcosa di me. Poi mi è capiato di rileggerlo, due anni fa, e mi sono reso conto che non era invecchiato per niente. Soprattutto mi ha colpito un fatto: nella vita, si è costretti alla competizione, magari si è costretti a pensare il falso o a non essere sinceri; nella morte, invece, i personaggi di Spoon River si esprimono con estrema sincerità, perché non hanno più da aspettarsi niente, non hanno più niente da pensare. Così parlano come da vivi non sono mai stati capaci di fare.

    - Cioè, tu hai sentito in queste poesie che nella vita non si riesce a "comunicare"? Quella che a me pare la denuncia più precorritrice di Masters, la ragione per la quale queste poesia sono ancora attuali, specialmente tra i giovani?

    - Sì, decisamente sì. A questo punto ho pensato che valesse la pena ricavarne temi che si adattassero ai tempi nostri, e siccome nei dischi racconto sempre le cose che faccio, racconto la mia vita, cerco di esprimere i miei malumori, le mie magagne (perché penso di essere un individuo normale e dunque penso che queste cosepossano interessare anche gli altri, perché gli altri sono abbastanza simili a me), ho cercato di adattare questo Spoon River alla realtà in cui vivo io. Perché ho scelto Spoon River e non le ho addirittura inventate io, queste storie? Dal punto di vista creativo, visto che c'era stato questo signor Edgar Lee Masters che era riuscito a penetrare così bene nell'animo umano, non vedo perché avrei dovuto riprovarmici io.

    - Sicché le grosse manipolazioni che hai fatto sui testi sono state come delle operazioni chirurgiche per rendere il libro attuale, contemporaneo?

    - Sì. Addirittura per rendere più attuali i personaggi, per strapparli dalla piccola borghesia della piccola America del 1919 ed inserirli nel nostro tipo di vita sociale. Quando dico borghesia non dico babau, dico la classe che detiene il potere e ha bisogno di conservarselo, no? il suo potere. Ma anche nel nostro tipo di vita sociale abbiamo dei giudici che fanno i giudici per un senso di rivalsa, abbiamo uno scemo di turno di cui la gente si serve per scaricare le sue frustrazioni (è tanto comodo a tutti, uno scemo...).

    - Dal libro hai preso nove poesie, scegliendole tra le più adatte a spiegare due temi che sembravano le più insistenti costanti della vita di provincia: l'invidia (come molla del potere esercitata sugli individui e come ignoranza nei confronti degli altri) e la scienza (come contrasto tra l'aspirazione del ricercatore e la repressione del sistema). Perché proprio questi due temi?
    - Per quanto riguarda l'invidia perché direi che è il sentimento umano in cui si rispecchia maggiormente il clima di competitività, il tentativo dell'uomo di misurarsi continuamente con gli altri, di imitarli o addirittura superarli per possedere quello che lui non possiede e crede che gli altri posseggano. Per quanto riguarda la scienza, perché la scienza è un classico prodotto del progresso, che purtroppo è ancora nelle mani di quel potere che crea l'invidia, e, secondo me, la scienza non è ancora riuscita a risolvere problemi esistenziali.

    - Chi ha fatto questa scelta dei temi e delle poesie?
    - Dopo aver fatto la scelta ne ho parlato con Bentivoglio al quale ho proposto di aiutarmi in questo lavoro. Tra noi ci sono state molte discussione, come è ovvio e come è giusto. Bentivoglio tendeva a fare un discorso politico ed io volevo fare un discorso essentialmente umano. Alla fine la fatica più dura è stata, mai rinunciando ad esprimere dei contenuti, quella di accostarsi il più possibile alla poesia. Fatica a parte devo dire che vorrei incontrare un centinaio di Bentivoglio nella vita: se vivessi cent'anni, un disco all'anno, sarei l'autore di canzoni più prolifico del mondo.

    - Puoi spiegarmi meglio l'idea del malato di cuore come alternativa all'invidia?
    - Se ci riuscissi. Gli altri personaggi si sono lasciati prendere dall'invidia e in qualche maniera l'anno risolta, positivamente o negativamente (lo scemo che per invidia studia l'enciclopedia britannica a memoria e finisce in manicomio, il giudice che per invidia raggiunge abbastanza potere da umiliare chi l'ha umiliato, il blasfemo che è un esegeta dell'invidia e per salirne alle origini va a cercare Dio); invece il malato di cuore, pur essendo nelle condizioni ideali per essere invidioso, compie un gesto di coraggio e...

    - Possiamo dire che ha scavalcato l'invidia perché a spingerlo non è stata la molla del calcolo ma è stata la molla dell'amore?
    - Ma sì, lo avrei detto io se non lo avessi detto tu.

    - E allora possiamo concludere con la vecchia proposta di Masters, che a trionfare sulla vita è soltanto chi è capace di amore?
    - Sì, a trionfare sono i "disponibili"

    - Anche per il gruppo della scienza hai trovato un'alternativa, vero? Bentivoglio mi diceva che per rappresentare il tema della scienza hai scelto il medico che ha cercato di curare i malati gratis ma non c'è riuscito perché il sistema non glielo ha permesso, il chimico che per paura si rifugia nella legge e nell'ordine come fatto repressivo e l'ottico che vorrebbe trasformare la realtà in luce e nel quale hai visto una specie di spacciatore di hashish, una specie di Timothy Lehary, di Aldous Huxley. In che modo il suonatore di violino è una alternativa?
    - Il suonatore di violino (che è diventato per ragioni metriche di flauto) è uno che i problemi esistenziali li risolve, e se li risolve perché, ancora, è un "disponibile". È disponibile perché il suo clima non è quello del tentativo di arricchirsi ma del tentativo di fare quello che gli piace: è uno che sceglie sempre il gioco, e per questo muore senza rimpianti. Non ti pare che sia perché ha fatto una scelta? La scelta di non seppellire la libertà?

    - Allora si può dire che questo è il messaggio che hai voluto trasmettere con questo disco? Perché siamo abituati a pensare che tutti i tuoi dischi hanno proposto un messaggio: quello libertario e non violento delle tue prime ballate, come nella Gerra di Piero, quello demistificatorio dei personaggi del Vangelo, come nel Testamento di Tito. Qual è il messaggio di questo Spoon River?
    - Direi, tutto sommato, che siamo usciti dall'atmosfera della morte per tentare un'indagine sulla natura umana, attraverso personaggi che esistono nella nostra realtà, anche se sono i personaggi di Masters.

    - È chiaro che le poesie le hai tutte rifatte. Ma per esempio, nella poesia del blasfemo, tu hai aggiunto un'idea che non era in Masters, quella della "mela proibita", cioè della possibilità della conoscenza, non più detenuta da Dio ma detenuta dal potere poliziesco del sistema.
    - Non mi bastava il fatto traumatico che il blasfemo venisse ammazzato a botte: volevo anche dire che forse è stato il blasfemo a sbagliare, perché nel tentativo di contestare un determinato sistema, un determinato modo di vivere, forse doveva indirizzare il suo tipo di ribellione verso qualcosa di più consistente che non contro un'immagine così metafisica.

    - Mi diceva Bentivoglio che se la "mela proibita" non è in mano a un Dio ma al potere poliziesco, è il potere poliziesco che "ci costringe a sognare in un giardino incantato". Cioè, il giardino incantato non è più quello divino dove secondo Masters l'uomo non avrebbe dovuto sapere che oltre al bene esiste il male.
    - Sì. In realtà per il blasfemo il giardino incantato non è stato creato da Dio ma è stato addirittura inventato dall'uomo e comunque la "mela proibita" è ancora sulla terra e noi non l'abbiamo ancora rubata. A questo punto hai capito che cosa voglio dire io per sognare: voglio dire pensare nel modo in cui si è costretti a pensare dopo che il sistema è intervenuto a staccarci decisamente dalla realtà.

    - Mi pare che la tua aggiunta non sia una forzatura, perché anche nella denuncia della manipolazione del pensiero, del lavaggio mentale esercitato dal sistema, Masters è un precorritore dei nostri problemi. Cerca di dirmi in che modo, quando eri ragazzo, a un ragazzo della tua generazione Masters è sembrato un contestatore.
    - Perché denuncia i difetti di gente attaccata alle piccole cose, che non vede al di là del proprio naso, che non ha alcun interesse umano al di fuori delle necessità pratiche.

    - Cioè più che la sua contestazione politica ti ha interessato la sua contestazione umana?
    - Sì, secondo me il difetto sostanziale sta nella natura umana.

    - Ritornando alle tue manipolazioni del testo, possiamo dire che l'aggiunta di questo concetto della "mela proibita" non detenuta da Dio ma dal potere del sistema è la manipolazione più grossa. D'altronde è passato mezzo secolo da quando Masters ha scritto queste poesie, sicché se questa galleria di ritratti la potesse riscrivere adesso non c'è dubbio che la sua vena libertaria gli farebbe inserire elementi che si è limitato a sfiorare come precorritore. Questo vale anche per l'altra grossa manipolazione che hai fatto, quella dell'ottico visto come proposta di un'espansione della coscienza. Ma proprio dal punto di vista stilistico, perché hai sentito la necessità di cambiare la forma poetica di Masters? Bentivoglio mi diceva che il verso libero di queste poesie non ti serviva, avevi bisogno di ritmo e di rima, questo è chiaro. Ma sembra quasi che tu abbia voluto divulgare, spiegare questi testi.
    - Sì. Mi pareva necessario spiegare queste poesie; poi c'era la necessità di farle diventare delle canzoni. Cioè delle storie e una storia non è un pretesto per esprimere un'idea, dev'essere proprio la storia a comprendere in sé l'idea.

    - Ma come spieghi per esempio il fatto di aver usato parole di un linguaggio contemporaneo quasi brutale, per esempio nel verso della poesia del giudice "un nano è una carogna di sicuro perché ha il cuore troppo troppo vicino al buco del culo", e di avere per esempio inserito immagini come le "cosce color madreperla" in poesie che pur essendo piene di sesso sono espresse per lo più in forma asettica, quasi asessuata?
    - Perchè anche il vocabolario al giorno d'oggi è un po' cambiato, e io ero spinto soprattutto dallo sforzo di spiegare il vero significato di queste cose. Quanto alla definizione del giudice, questo è un personaggio che diventa una carogna perché la gente carogna lo fa diventare carogna: è un parto della carogneria generale. Questa definizione è una specie di emblema della cattiveria della gente.

    - Tutto sommato mi pare che queste siano state le manipolazioni più pesanti che hai fatto ai concetti e al testo di Masters; e d'altra parte, quando il libro è uscito, ai suoi contemporanei è sembrato tutt'altro che asettico e asessuato: il gruppo dei Neo-Umanisti lo aggredì come "iniziatore di una nuova scuola di pornografia e sordido realismo".
    - Capirai.

    - Comunque sono certa che non deluderai i tuoi ammiratori, perché le poesie le hai proprio scritte tue, con quella tua imprevedibile, patetica inventiva nella rime e nelle assonanze, proprio come nelle poesia dell'antica tradizione popolare. Ma fino a che punto, per esempio, ti sei identificato col suonatore di violino (Jones, che nel '71 suona il flauto) che conclude il disco? E non voglio alludere al fatto che da ragazzo ti sei accostato alla musica studiando il violino.
    - Non c'è dubbio che per me questa è stata la poesia più difficile. Calarsi nella realtà degli altri personaggi pieni di difetti e di complessi è stato relativamente facile, ma calarsi in questo personaggio così sereno da suonare per puro divertimento, senza farsi pagare, per me che sono un professionista della musica è stato tutt'altro che facile. Capisci? Per Jones la musica non è un mestiere, è un'alternativa: ridurla a un un mestiere sarebbe come seppellire la libertà. E in questo momento non so dirti se non finirò prima o poi per seguire il suo esempio.

    - Ti sei dimenticata di rivolgermi una domanda: chi è Fernanda Pivano? Fernanda Pivano per tutti è una scrittrice. Per me è una ragazza di venti anni che inizia la sua professione traducendo il libro di un libertario mentre la società italiana ha tutt'altra tendenza. È successo tra il '37 e il '41: quando questo ha significato coraggio. [intervista registrata a Roma il 25 ottobre 1971]


    * * *

    "Dov'è quel suonatore Jones
    che giocò con la vita per tutti i novant'anni,
    fronteggiando il nevischio a petto nudo,
    bevendo, facendo chiasso, non pensando
    né a moglie né a parenti,
    né al denaro, né all'amore, né al cielo?"

    Quando, intorno al 1914, Edgar Lee Masters scriveva questi versi, ricostruendo il microcosmo di una piccola città della provincia americana attraverso epigrafi immaginarie di un cimitero sulla collina, non immaginava che la sua opera sarebbe stata una tappa importante per almeno tre protagonisti della cultura italiana, diversi nelle competenze, ma non dissimili per alcuni aspetti della loro opera. Il primo è Cesare Pavese, che introdusse l' Antologia di Spoon River in Italia e ne comprese il significato più profondo: l'Antologia era lo specchio di un mondo che aveva perso la dimensione collettiva del senso della vita e, di conseguenza, la possibilità di catarsi attraverso la tragedia (come era avvenuto per secoli, dai Greci a Shakespeare, in società dove esistevano, a detta dello stesso Pavese, "gli strumenti per condurre una comune lotta contro il dolore, la miseria, la morte"). Andata perduta la dimensione comune del senso dell'esistere, questo mondo destina gli individui a consumare piccole tragedie personali, relative ed insensate. Il secondo di questi protagonisti è Fernanda Pivano che tra il 1937 e il 1943 tradusse l'Antologia con l'entusiasmo del pioniere, rendendo in italiano l'armonia del verso libero di Masters e aprendo la strada alle numerosissime edizioni che di questo libro vennero fatte da allora. Infine Fabrizio De André, nel 1971, mise in musica la raccolta, scegliendo nove poesie raggruppabili, come spiegano lo stesso De André e la Pivano, in due filoni tematici: l'invidia e la scienza. Al primo gruppo appartengono: Un matto, tratto dall'epitaffio di Frank Drummer, che il villaggio prese per scemo perché "la mia lingua non poteva esprimere ciò che mi si agitava dentro"; Un blasfemo, che nell'Antologia risponde al nome di Wendell P. Bloyd; Un giudice, il giudice Selah Lively, "alto cinque piedi e due pollici" e infine, come esempio di risposta positiva alla vita, di rifiuto dell'invidia, Un malato di cuore, dalla poesia dedicata a Francis Turner. Al tema della scienza appartengono Un chimico, dall'epitaffio di Trainor il farmacista; Un medico, il dottor Siegfried Iseman, frustrato nelle sue aspirazioni umanitarie, e Un ottico, l'ottico Dippold, lo "spacciatore di lenti" che della sua scienza riesce a fare un uso creativo, trasformandosi in una specie di Mr. Tambourine Man, che offre incantesimi, sensazioni di viaggio e mondi luminosi, mentre Dylan lo prega "portami scomparendo attraverso gli anelli di fumo della mia mente". Fanno da cornice a queste epigragi, La collina, che segna l'avvio sia dell'Antologia di Spoon River che del disco e Il suonatore Jones, a cui De André affida la conclusione e il messaggio del suo album: l'unico modo di dare senso ad un'esistenza che rivela la sua precarietà ideale è quello di essere disponibili alla vita, dedicandola alla ricerca di una libertà immateriale, nascosta là dove i pensieri e i gesti non sono protetti da nessun "filo spinato", ma si sviluppano nella condizione della possibilità infinita. Solo in questo modo la vita è lieve e pura, come un ballo in campagna, come un ricordo di giovinezza, una melodia di violino, mentre tutte le attività umane, così come anche i sentimenti, gli ideali, le relazioni, portano dolore e limitazioni, generano le commedie e i drammi su cui è intessuto il teatro di Spoon River. Non può stupire del resto la scelta di De André, che sempre di frammenti di drammi si è occupato, di "scene dei villaggio", di tipi umani colti nei momenti decisivi e rivelatori della loro anima, così da diventare simboli della condizione dell'uomo in una società priva di forti riferimenti collettivi, proprio come i protagonisti dell'opera di Masters. De André abbandona il verso libero dell'originale americano, per strofe dai versi ritmati o fortemente assonanti, costruiti su melodie intense e, ancora, in minore. Nel caso de Il blasfemo, la musica è un'elaborazione di un tema popolare inglese, mentre nell'Ottico, all'interno di due valzer di facile ascolto, De André costruisce una zona musicale in cui materiale sonoro e materiale poetico escono fuori dallo schema consueto, alla ricerca di una forma adeguata alle visioni inusuali di questi occhi senza sonno, catturati nell'esplosione di luce "che trasforma il mondo in un giocattolo".
    [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 153-155]