L'Indiano ha come tematica le culture etniche e autoctone, e i personaggi che intervengono e si raccontano sono degli indiani, dei pellerossa che io avevo associato, da un punto di vista culturale, ai sardi dell'interno.
[Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 72] Gli indiani del lontano West e gli abitanti del cuore della Sardegna: due epopee, due codici altri rispetto a quelli della civiltà predominante. Siano "marinai dei foresta" o servi pastori, i sardi di questo disco, come gli indiani, sono degli irregolari che non conoscono "l'amore delle case, l'amore biancovestito", abitano i sentieri di praterie e montagne, non possiedono oggetti che simbolizzino il loro status, ma specchiano la loro identità nel cielo, nei boschi di sughere, nell'acqua dei torrenti. Li accomunano libertà grandi e divieti aspri, e una lotta incessante per mantenere i margini della propria diversità. Un album tutto girato in esterni, verrebbe da dire, poiché sono i paesaggi a costituire gli scenari delle canzoni, e tra la natura e l'uomo c'è uno scambio continuo, una vera e propria simbiosi, come nel verso "mio padre un falco, mia madre un pagliaio" che rimanda ad un mondo di riferimenti naturali cari a un altro poeta maledetto del nostro secolo, il gallese Dylan Thomas. In tutte queste immagini analogiche costruite sui tempi e i luoghi della natura, e nell'insistenza su sensazioni quali dormire all'aperto, "sul letto del bosco", si legge in trasparenza l'esperienza del rapimento, avvenuto nell'agosto del 1979. Un'esperienza vissuta con spirito d'avventura, cercando di trarne ciò che poteva offrire di dialetticamente positivo, e tradotta in un disco che, effettivamente, è ricco di motivi ed accordi tratti dalla musica sarda, di tutta una gamma di soluzioni musicali nuove. Ancora si ritrova un'alternanza di canzoni lente e veloci, un'attenzione alle voci e alle grida di sottofondo e un finale corale dove si fantastica di verdi pascoli, praterie di Manitù, distere di "erba da sognare". [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 223-224] |