Dove se n'è andato Helmer, "che di febbre si lasciò morire", dov'è Herman, "bruciato in miniera", e dove sono tutti gli altri, uccisi in una rissa al bar o dalle botte in galera, dall'amore o dalla sfortuna, Fabrizio De André lo sapeva: "dormono sulla collina", dov'è andato a raggiungerli dopo tanto averli seguiti. E amati. Già, perché ci sono zone di mondo e di società dove "il sole del buon dio non dà i suoi raggi". Mai. Ed è in quelle zone, sentieri impervi che si allontanano dalle autostrade dove la maggioranza corre, sospinta da "un facile vento di sazietà, di impunità", che De André, viaggiatore irriducibile, si è sempre mosso, attraverso quattro decenni: gli anni Sessanta dei fermenti, i Settanta della rivolta, gli Ottanta della restaurazione, i Novanta della grande omologazione.
Cambiano i tempi e le geografie, ma l'esercito dei respinti non assottiglia le fila, anche se mutano gli idiomi e il colore della pelle. C'è sempre qualcuno, e sono tanti, che "tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità". Ed è a quelli che De André chiede di aggregarsi, almeno per raccontarli, svelarne l'anima e dare loro la dignità che i valori dominanti (maggioritari) di ogni epoca (non importa di quale segno) gli negano, relegandoli tra i dannati della terra: ladri, suicidi, puttane, vagabondi, venditori di sogni, recalcitranti a qualunque forma di assimiliazione conformistica. Ed è lì che incontra cadaveri di soldati portati a riva dalla corrente, re senza corona e senza scorta alla porta di giovani donne che vivono senza il sogno di un amore, pescatori assopiti all'ombra dell'ultimo sole che dividono il pane con un assassino, ragazze che compiono due errori di saggezza: abortire il figlio del bagnino e poi guardarlo con dolcezza. Amori che vanno e amori che vengono, amori rubati, ubriaconi, matti, transessuali, blasfemi, l'amante di un'asina cui un cavillo burocratico nega il matrimonio perché tra lui e il quadrupede risulta un legame di stretta parentela. Tanti compagni di cattiva strada, ma intendiamoci sul senso del termine, "perché per tutti c'è un amore e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada". Almeno così piace pensare a chi avverte "l'astio e il malcontento di chi è sottovento e non vuol sentir l'odore di questo motore che ci porta avanti quasi tutti quanti, maschi femmine e cantanti, su un tappeto di contanti... nel cielo blu". Dove finiscono le dita cominciano le corde di una chitarra. E una voce profonda e calda, magnifico impasto di sigarette e alcol, si sovrappone agli arpeggi, attraversando ogni genere musicale, per approdare a suggestive miscele mediterranee. Ma portandosi sempre appresso gli stessi compagni di viaggio, che cambiano nomi e situazioni con cui interagire, ma non anima. Storie di uomini e donne che vivono e "sentono" fuori dalle convenzioni comunemente accettate come "necessarie", nell'ostinato rifiuto di ogni conformismo, qualunque sfumatura esso abbia, sempre alla ricerca di quel che non galleggia, astuto e lieto, sulla schiuma dell'onda. De André è sempre con loro, vale a dire assieme ai "non vincenti", che non vuol dire "perdenti". È lì con il cuore, le dita, la voce e l'intelletto per dare fiato a un "altro mondo", che non è meno reale ma è certo meno rappresentato di quello vociante che si impone come trionfante. Per dare identità e dignità a un mondo dove si parla sottovoce per farsi ascoltare, anziché urlare per farsi sentire. Un mondo a cui De André, figlio di un armatore [?] genovese, appartiene "solo" col cuore e la testa, appunto. Consapevole di non appartenerci con l'anima. Nel romanzo autobiografico scritto a quattro mani con Alessandro Gennari e intitolato Un destino ridicolo, il protagonista Fabrizio, artista di successo, incontra l'amico d'infanzia Carlo. "Tu sì che ne hai fatta di strada. Io, invece, mi sono perso in un mucchio di sentieri", commenta Carlo. "A volte è più eccitante arrampicarsi per i sentieri", replica Fabrizio. "Ma non dire belinate!", conclude l'altro. Consapevolezza che non toglie a De André il gusto di andare a fondo nelle motivazioni che muovono i reietti che si è scelto come compagni di strada. Perciò ci piace pensarlo al bar della Collina, adesso che, come il suonatore Jones, chiede al mercante di liquore:" Tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?". |