MILANO. - Fabrizio De André. È il suo momento. Ha vinto due Targhe Tenco, ha fatto un duetto con Mina, sta per uscire un disco antologico, al quale seguirà un libro molto serio, su di lui. E il 2 novembre inizierà un tour teatrale completamente nuovo. Volendo stabilire un ordine cronologico, il "Tenco", storica rassegna sanremese dedicata alla canzone d'autore, è il primo appuntamento. De André parteciperà alla serata inaugurale, quella del 23 ottobre, con un piccolo record personale: è stato il primo nei 22 anni di storia del "Tenco" ad aggiudicarsi la targa per il disco dell'anno (Anime salve, scritto con Ivano Fossati) e per la canzone dell'anno: la straordinaria Prinçesa, che ha vinto dopo un serrato testa a testa con La cura dl Franco Battiato. Dopo Sanremo, De André inizierà il suo tour, il 2 novembre dal Regio di Parma, che andrà avanti fino a febbraio '98 percorrendo l'Italia intera. Il 4 novembre sarà presentato Fabrizio De André. Accordi eretici, un libro (per la Euresis Edizioni) che raccoglie scritti su De André (Romano Giuffrida, Bruno Bigoni, Luigi Pestalozza, Liana Nissim, Franco Fabbri e altri), suoi manoscritti e una preziosa introduzione di Mario Luzi su musica e poesia: "Per quanto il suo dono dl affabulazione crei una certa magia" scrive il poeta, "non sarebbe in grado di soggiogare l'uditorio senza il foco di quella concrezione e sintesi". Il 6 novembre uscirà Mi innamoravo di tutto, raccolta antologica del primo De André. Undici canzoni (un titolo, che è anche quello del tour, tratto da Coda di lupo, brano dell'album Rimini) tra le quali il duetto con Mina su La canzone di Marinella, arrangiata, lentissima e intensa, da Piero Millesi. Un capolavoro.
Insomma, c'erano motivi a sufficienza per chiedere un incontro a De André. Richiesta candida, quasi ingenua: perché è noto che i riflettori non si addicono al musicista. Invece di godere del suo momento magico, De André è nel panico assoluto, immerso nelle prove del concerto, già ansioso per tutto quello che sta per scatenarsi attorno a lui. Ha quindi chiesto di poter rispondere per iscritto alle nostre domande. E martedì i cinque fogli, in leggibile stampatello sono arrivati in redazione. Ecco cosa ci ha risposto. "Deve essere terribile, avendo scelto una vita appartata, trovarsi improvvisamente coinvolto in così tante situazioni. Con quale spirito affronta concerti, premi e premiazioni?". "Non vedo contraddizione: se ho scelto una vita a margine è proprio perché non mi è quasi mai riuscito di conciliare l'immaginario con il reale, i miei desideri con quelli di chi vorrebbe impormene altri. Mi chiedo sempre se sia giusto andare contro i miei impulsi: poi cedo ai ricatti della ragione che mi consentono di sopravvivere, sia pure nel disagio della contraddizione. Così mi chiedo se sia opportuno ritirare un premio, mi interrogo se sia giusto darlo a chi, in fondo, è già stato abbastanza premiato dalla vita. Mi rispondo di no, ma poi vado a ritirarlo. Forse perché razionalmente comprendo che la vita è anche fatta di rituali leggendari a cui molti di noi, me compreso, attingono per riconoscere una parte di se stessi in un nostro simile di successo, in un vincente. Ecco il problema: io non mi considero affatto un vincente, perciò mi vergogno a sostenere un ruolo che non mi è naturalmente proprio. D'altra parte mi rendo conto che questi riconoscimenti mi sono utili, come mi è assolutamente utile fare concerti". "Che importanza ha nella sua vita il concetto del tempo? Non crede che parlare soltanto quando si hanno cose importanti da dire, a un certo punto, possa ridurre l'uomo al silenzio?". "È molto probabile che finisca così. Nell'attesa continuo a pensare che l'unico tempo veramente sprecato sia quello utilizzato in cose inutili o brutte. Un giovane sioux di undici anni che aveva passato l'estate dai nonni, in riserva, interrogato, al suo ritorno a scuola, su come avesse trascorso le vacanze, rispose: 'Benissimo. Il tempo era ritornato a essere intero'. Appunto. Noi siamo troppo abituati a segmentarlo, a dividerlo in ore e minuti, in ansie e angosce, dimenticandoci che da piccoli giocavamo intere giornate con un pezzo di legno in cortile, avvertendo il passare del tempo solo al sopraggiungere della notte, allo scroscio improvviso della pioggia: avevamo una pura nozione atmosferica del tempo". "Ha pensato che fosse tempo per un'antologia?". "No, sono i discografici che ogni tanto decidono di essenzializzarti. Se poi lasciano a te la scelta dei brani non resta che baciar loro la mano". "Nella raccolta c'è il duetto con Mina. Perché la scelta è caduta proprio su La canzone di Marinella?". "L'idea è stata di mia moglie Dori. Ho scelto Marinella per un mucchio di motivi, ma soprattutto perché Mina l'aveva già cantata. Furono proprio i proventi Siae derivati dalla sua interpretazione che mi orientarono nella scelta di continuare a scrivere canzoni. Ci sono anche motivazioni meno venali e più complesse che mi legano a La canzone di Marinella, ma non basterebbe una pagina a raccontarle". "Perché nella sua vita professionale, sempre di più, si circonda di familiari?". "Se fosse capace di usarlo, metterei al mixer anche la mia prima moglie. I miei familiari sono le persone che meglio conosco e di cui meglio conosco le capacità. So che mia figlia sa cantare, e Cristiano lo considero tra i più grandi polistrumentisti europei". "Saranno con lei anche nel nuovo tour? Quali le novità rispetto al precedente?". "Ho scelto canzoni mai troppo frequentate. Ne farò cinque, riarrangiate, da La buona novella; due o tre mai cantate in pubblico, come Geordie e La città vecchia; quattro da Creuza de mä. Canterò per intero Anime Salve, il disco scritto con Fossati. E antichi ronzini da battaglia, gli "everbrown", come li chiama Mark Harris. Che sarà alle tastiere e alla direzione musicale. Ci saranno inoltre Mario Arcari ad ance e flauti, mio figlio Cristiano sommerso da bouzouki, oud, violino, chitarre e tastiere aggiunte, Michele Ascolese e Giorgio Cordini ai plettri, Rosario Jermano alle percussioni, Stefano Cerri al basso, Ellade Bandini alla batteria, mia figlia Luvi ai cori con Laura De Luca e Danila Satragno, entrambe anche musiciste". "In Italia lei è stato il primo a utilizzare nelle canzoni un linguaggio crudo, realistico. Simile a quello di molti giovani scrittori di oggi. Come giudica Brizzi e compagni?". "È vero, conosco quel linguaggio. Anche se penso che le eventuali esagerazioni di questi giovani scrittori, che oggi chiamano cannibali, abbiano una valenza diversa da quella apparente. Un parallelo con le mie canzoni: erano diversi i tempi? Forse sì. Era diverso l'uomo? Assolutamente no. Era semmai diverso l'approccio dell'autorità con i sudditi. Soprattutto quelli che esprimevano il loro disagio attraverso le cosiddette opere dell'ingegno. Nel mio piccolo fui processato per un testo innocuo e goliardico che avevo scritto con Paolo Villaggio: Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers. Oggi, che tutto è assorbito e giustificato in nome del dio dei mercati, gli artisti, a maggior ragione, continuano a dissentire da chi organizza e controlla la società per i vantaggi propri e di una minoranza elitaria. E continuano a farlo con gli strumenti dell'arte. Indipendentemente dalle singole qualità letterarie, che non sta a me giudicare, non mi dispiace affatto la rappresentazione che del mondo ci danno Brizzi e compagni: la leggo come un'allegoria del predominante pensiero 'turbocapitalista' che tutto può comprare e vendere, anche un pezzo alla volta; che tutto può barattare, umiliare e ferire, non importa che si tratti di oggetti, di corpi o di anime". |