Il dolore continua, alimentato dal grigio freddo della città, risuona nella folla che vuole riempire il Carlo Felice (cinquemila persone: almeno in duemila rimangono fuori a guardare gli schermi che riportano quello che avviene all'interno), dilaga nelle parole delle canzoni lette da Elisabetta Pozzi e Mario Sciaccaluga, ed esplode nelle superbe note dell'Eroica, eseguite dall'Orchestra del teatro diretta da Martin Turnovski. Ma nessuna celebrazione è più potente delle parole di Fernanda Pivano che trabocca semplicità, un umano inestinguibile dolore per l'amico perduto, che poco prima dell'inizio ci aveva confessato in lacrime: "Perché non me, che sono vecchia e malata, perché proprio lui che poteva ancora regalarci tanta bellezza! Avrei dato tutto perché toccasse a me al suo posto". Parole terribili, che forse solo una madre potrebbe pronunciare per il proprio figlio. Tocca a lei aprire questo ricordo, cui hanno voluto essere presenti Dori Ghezzi e i figli Cristiano e Luvi, accolti da un interminabile applauso, oltre a Beppe Grillo, il sindaco e varie istituzioni cittadine. Genova, che qualcuno ha definito fredda, è tutta lì a piangere il suo figlio prediletto, e lo stravagante interno del teatro, concepito con balconi e lampioni come fosse una piazza, esalta questa sensazione di presenza simbolica di tutta la città. La Pivano quasi non riesce a parlare, balbetta il suo grido di dolore: "Non è vero, lui vivrà per sempre: nello spazio profumato della poesia!". Poi ricorda alcuni momenti della sua amicizia con De André. La prima volta che ascoltò un suo pezzo fu mentre accompagnava Hemingway che partiva per Cuba. Da un chiosco sentì La guerra di Piero e ne rimase folgorata. Tentò di inserirla nell'antologia sulla pace che stava curando per Feltrinelli, ma nessuno della casa discografica le rispose. Solo dopo seppe che Fabrizio non aveva mai saputo nulla. Si conobbero qualche anno dopo, quando DeAndré decise di realizzare un disco liberamente tratto dall'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, pubblicato poi col titolo Non al denaro non all'amore nè al cielo. "Lui in realtà l'aveva capito meglio di me. Mi ha insegnato un sacco di cose che io non sapevo", ha raccontato la Pivano; "ma io volevo che me le cantasse, invece lui diceva sempre di no, perché non aveva la chitarra. Poi ho scoperto che l'aveva lasciata fuori della porta perché aveva paura di disturbarmi". Ogni tanto torna la commozione: "Ci intendevamo perché tutti e due pensavamo che dovremmo riuscire a fermare le guerre ed il conformismo. Gli uomini non sono cattivi, ma devono credere nella vita". Il pubblico è totalmente avvinto, commosso da questa grande signora che ha vissuto tutta la sua vita dell'amore, della bellezza e della poesia. E poi ascolta con rispetto i due attori che leggono alcune canzoni scelte dall'immenso canzoniere di De André. Molte sono proprio tratte da Spoon River, e poi Il canto del servo pastore, Anime salve, e altre ancora. Gli applausi sono ogni volta un tributo speciale, i più intensi sono stati per Il testamento di Tito e Preghiera in gennaio, che De André scrisse in memoria del suo amico Luigi Tenco, e che oggi suona inevitabilmente diversa, come avvolta di tristi presagi. Tutte queste canzoni ci ricordano che la forza di De André era quella d'intendere il suo lavoro come un modo di conoscersi e di conoscere il mondo. Ogni verso rimbomba nel teatro come un distillato di coscienza, creato per comunicare attraverso il più semplice e meraviglioso dei modi: una canzone. Il pubblico applaude per minuti e minuti, guarda nella direzione di Dori, Cristiano e Luvi, forse inviando mentalmente una parola di conforto, ma tutti rispettano il dolore, e nessuno fa pressione intorno a loro. C'è solo la voglia di onorare un maestro. |