• Nella penombra del teatro gremito, la voce di Fabrizio De André risalta come un solido blocco d'alabastro. È netta, forte, intransigente. Soprattutto bella, pulita, senza scorie, priva di trucchi e virtuosismi d'impostazione. In fondo si è detto molto del De André autore, dell'anarchico aristocratico che canta la voce delle minoranze culturali (siano esse indiane, zingare, genovesi) e che invoca irriducibilmente il senso di libertà, ovunque esso si nasconda. Molto meno si è detto della voce che è al servizio di questo progetto di poesia libertaria. Pensare a un cantautore come a un grande cantante è un esercizio a cui siamo poco abituati. Ma è così. Se l'effetto dei testi di De André è così penetrante, così forte, lo si deve anche alla bellezza della sua voce. Non usa il vibrato, non ha bisogno di eccessi di slancio sentimentale, pronuncia le parole in modo perfetto, con una nitidezza che le fa percepire vere. La stessa accuratezza posta nello scriverle, De André la applica al canto. Fateci caso, nelle sue canzoni una sillaba è sempre una sillaba, non viene mai storpiata, deformata, rimane se stessa, dura quanto deve durare, termina in modo netto, assoluto, senza tutti quegli strascicamenti che sono tipici della gran parte dei cantanti. Il timbro è autorevole, appassionato ma controllato, esprime l'emozione di un uomo che pesa attentamente e con profonde meditazioni tutto quello che dice, anzi, canta.
    Il suo pubblico vive il concerto come una sorta di "reading" poetico. Assorbe silenzioso e concentrato ogni sfumatura dei brani proposti. Non c'è un'enorme differenza dalle versioni che conosciamo sui dischi, ma il magnetismo fisico, la sensazione quasi di materia che riesce a dare la sua voce, rende il concerto in ogni caso un incontro speciale.
    Tutto questo è funzionale al mondo che De André racconta. Sono testi sofferti, spesso violentemente iconoclasti, irridenti, talvolta perfino difficili, e da bravo autore De André preferisce interpretare se stesso. Raramente ha cantato di altri, ma se pensiamo solo alla sua versione dell'antica canzone napoletana, Fenesta nova, ci rendiamo conto che se volesse potrebbe essere anche un bravissimo interprete di canzoni altrui.
    Non accade perché ha tante cose da dire in prima persona. E sono cose che molti farebbero bene ad ascoltare.