• NOTA
    Tutte le citazioni qui riportate sono tratte da Michel de Montaigne, Saggi, Mondadori, Milano 1970.



    Anassimene scriveva a Pitagora: "Con che coraggio posso perdere il mio tempo a conoscere il segreto delle stelle, quando davanti agli occhi ho sempre presente o la morte o la schiavitù?"

    Anche se potessi farmi temere, preferirei sempre farmi amare.

    Avete un bel vivere: non diminuirete affatto il tempo durante il quale sarete morto.

    Bisogna avere moglie, figli, sostanze, e soprattutto la salute, se si può; ma non attaccarvisi in maniera che ne dipenda la nostra felicità.

    Bisogna insegnare con cura ai ragazzi a odiare i vizi per la loro stessa natura, e farne loro comprendere la naturale bruttezza affinché li fuggano, non soltanto nelle loro azioni, ma soprattutto nel loro cuore, e lo stesso pensiero ne sia loro odioso.

    Bisognerebbe interessarsi di chiedere chi sappia meglio, non chi sappia di più.

    C'è altrettanta differenza fra noi e noi stessi che fra noi e gli altri. Certo, non è poco dover governare gli altri, poiché già a governare se stessi s'incontrano tante difficoltà.

    Che cosa resta a un vecchio del vigore della giovinezza e della sua vita passata?

    Checché se ne dica, anche nella virtù lo scopo ultimo della nostra mira è la voluttà.

    Chi insegnasse agli uomini a morire, insegnerebbe loro a vivere.

    Chi segue un altro, non segue nulla. Non trova nulla, anzi non cerca nulla.

    Ci sono certi impulsi di affetto che nascono a volte in noi senza l'intervento della ragione, che vengono da uno slancio fortuito che altri chiamano simpatia: le bestie ne sono capaci come noi.

    Ci sono più care le cose che ci sono costate di più: ed è più difficile dare che prendere.

    Ci sono qui i miei umori e le mie opinioni; io le do come cose che credo io, non come cose che si debbano credere. Qui io miro soltanto a scoprire me stesso, e sarò forse diverso domani, se una nuova esperienza mi avrà mutato. Non ho autorità per essere creduto, né lo desidero, sentendomi troppo male istruito per istruire gli altri.

    Cicerone dice che filosofare non è altro che prepararsi alla morte.

    Ciò che si odia lo si prende a cuore.

    Come la nostra nascita ci ha portato la nascita di tutte le cose, così la nostra morte produrrà la morte di tutte le cose. Perciò è uguale follia piangere perché di qui a cent'anni non saremo in vita, come piangere perché non vivevamo cent'anni fa.

    Da quale vanità ci può derivare il porre al di sotto di noi e l'interpretare con disprezzo i fatti che non possiamo né imitare né comprendere?

    Dall'obbedire e dal cedere nasce ogni altra virtù, come dall'orgoglio ogni peccato.

    Democrito ed Eraclito sono stati due filosofi, dei quali il primo, stimando vana e ridicola la condizione umana, si mostrava in pubblico solo con volto beffardo e ridente; Eraclito, avendo pietà e compassione di questa stessa nostra condzione, ne aveva il volto sempre rattristato e gli occhi pieni di lacrime.

    Di tutte le vanità, la più vana è l'uomo.

    Di tutti i piaceri che conosciamo, già il semplice tentativo di conseguirli è piacevole. L'impresa risente della qualità della cosa.

    Dire di sé meno di quel che si è, è stoltezza, non modestia. Dire di sé più di quello che si è, non è sempre presunzione: spesso anche questo è stoltezza.

    E in verità quello che diciamo di temere soprattutto nella morte è il dolore, suo abituale foriero. Tuttavia io constato per esperienza che è piuttosto l'insofferenza del pensiero della morte a renderci insofferenti del dolore, e che lo sentiamo doppiamente grave perché ci minaccia di morte.

    È molto strano che al nostro tempo le cose siano giunte al punto che la filosofia è, anche per le persone d'ingegno, un nome vano e fantastico, che non serve a nulla e non ha alcun pregio, sia in teoria che in pratica. Credo che ne siano causa quei cavilli che hanno invaso i suoi sentieri. Si ha gran torto a descriverla inaccessibile ai fanciulli, e con un viso arcigno, accigliato e terribile. Chi me l'ha camuffata sotto questo viso falso, esangue e ripugnante? Non c'è nulla di più gaio, di più vivace, di più gioconto e, direi quasi, burlone. Essa non predica che festa e buon tempo. Una cera triste e sconsolata dimostra che la sua dimora non è qui.

    È un'incivile indescrezione dar contro a tutto ciò che non è di nostro gradimento.

    È possibile che in coloro che impiegano bene il tempo, la scienza e l'esperienza crescano con la vita; ma la vivacità, la prontezza, la fermezza e altre qualità molto più nostre, più importanti ed essenziali, appassiscono e illanguidiscono.

    È vizio comune non del volgo soltanto, ma di quasi tutti gli uomini, di mirare alla maniera di vivere in cui sono nati e limitarsi ad essa.

    Ecco di che stupirci: abbiamo molti più poeti che giudici e interpreti di poesia. È più facile farla che riconoscerla. Fino a un certo basso livello, la si può giudicare in base ai precetti e al mestiere. Ma la buona, la somma, la divina, è al di sopra delle regole e della ragione. Chiunque ne discerna la bellezza con sguardo fermo e tranquillo, non la vede più di quanto veda lo splendore d'un lampo. Essa non seduce il nostro giudizio; lo rapisce e lo devasta.

    Epicuro dice che l'esser ricco non è un sollievo dai fastidi, ma solo un cambiamento di fastidi. Invero non è l'indigenza, ma piuttosto l'abbondanza che produce l'avarizia.

    Epicuro dispensa il suo saggio dal prevedere l'avvenire e dal preoccuparsene.

    Facciamo sì che la nostra soddisfazione dipenda da noi.

    Fra tutte le sciocchezze della gente, la più diffusa e la più generale è la preoccupazione per la fama e per la gloria.

    Gli uomini (dice un'antica sentenza greca) sono tormentati dalle opinioni che hanno delle cose, non dalle cose stesse.

    Gli uomini, per quanto la fortuna faccia loro buon viso, non si possono chiamare felici, finché non si sia visto come hanno passato l'ultimo giorno della vita, a causa dell'incertezza e variabilità delle cose umane, che con un leggerissimo movimento cambiano da una situazione a un'altra tutta diversa.

    I beni della fortuna, tali quali sono, bisogna anche avere della sensibilità per gustarli. È il godere, non il possedere, che ci rende felici.

    I doni della fortuna non si trovano mai uniti al merito.

    I giochi dei bambini non sono giochi, e bisogna giudicarli in essi come le loro azioni più serie.

    I libri sono piacevoli; ma se per la familiarità con essi perdiamo infine l'allegria e la salute, nostri maggiori beni, abbandoniamoli.

    I pitagorici dicono che il bene è certo e finito, il male infinito e incerto. Mille strade disviano dal bersaglio, una vi conduce.

    Il compianto e la commiserazione sono misti a una qualche stima della cosa che si compiange; le cose di cui ci si burla, le si considerano senza pregio.

    Il dono più propizio che ci abbia fatto la natura, e che ci toglie ogni mezzo di lamentarci della nostra condizione, è di averci lasciato la chiave della libertà. Ha stabilito un solo ingresso nella vita, e centomila uscite.

    Il profitto del nostro studio è esserne divenuto migliore e più saggio.

    Il riconoscimento dell'ignoranza è una delle più belle e più sicure prove di giudizio che io conosca. Il segno più caratteristico della saggezza è un giubilo costante.

    Il vero specchio dei nostri ragionamenti è il corso della nostra vita.

    In casa mia abolisco ogni cerimonia. Qualcuno se ne offende: che posso farci? È meglio che offenda lui per una volta, piuttosto che offender me tutti i giorni; sarebbe una continua soggezione.

    In quella scuola che è la società degli uomini ho spesso notato questo vizio: che, invece i cercare di conoscere gli altri, ci affanniamo soltanto a far conoscere noi stessi, e siamo più solleciti di vendere la nostra merce che di acquistarne di nuova. Il silenzio e la modestia sono qualità utilissime alla vita di società.

    In verità il mentire è un maledetto vizio. Siamo uomini e legati gli uni agli altri solo per mezzo della parola. Se conoscessimo l'orrore e la portata di tale vizio, lo puniremmo col fuoco più giustamente di altri delitti. Trovo che di solito ci occupiamo di punir nei fanciulli, assai male a proposito, degli errori innocenti, e li castighiamo per delle azioni sconsiderate che non lasciano impronta né conseguenza. Solo la menzogna e, un po' al di sotto, la caparbietà, mi sembrano quelli ci cui si dovrebbe con ogni forza combattere la nascita e lo sviluppo.

    Io eviterò, per quanto posso, che la mia morte dica cose che la mia vita non abbia detto in precedenza.

    Io non incorro affatto nel comune errore di giudicare un altro secondo quel che io sono. Ammetto facilmente cose diverse da me. Per il fatto di sentirmi impegnato a una certa forma, non vi obbligo gli altri, come fanno tutti; e immagino e concepisco mille contrarie maniere di vita; e, diversamente dalla gente comune, noto in noi più facilmente la differenza che la rassomiglianza.

    Io penso che i nostri vizi più grandi prendano la loro piega fin dalla più tenera infanzia.

    Io sono per natura non melanconico, ma meditabondo.

    L'abitudine ci nasconde il vero aspetto delle cose.

    L'agiatezza e l'indigenza dipendono dall'opinione di ciascuno; e la ricchezza, così come la gloria e la salute, non hanno maggior bellezza e piacere di quanta ne attribuisca loro chi le possiede. Ognuno sta bene o male secondo come pensa di stare. Non è contento chi è creduto tale, ma chi lo crede di sé.

    L'arciere che oltrepassa il bersaglio fallisce come colui che non ci arriva.

    L'ardore della collettività trascina le considerazioni dei singoli. L'assuefazione indebolisce la vista del nostro giudizio.

    L'intelligenza è in tutti gli dèi, dice Platone, e in pochissimi uomini.

    L'irresolutezza mi sembra il difetto più comune e più evidente della nostra natura.

    L'ostinarsi e il contestare sono qualità comuni, più visibili negli animi più bassi; (...) ravvedersi e correggersi, abbandonare un cattivo partito proprio nella foga dell'ardore, sono qualità rare, forti e da filosofi.

    L'uomo di senno non ha perduto nulla se ha se stesso.

    L'uomo è invero un soggetto meravigliosamente vano, vario e ondeggiante. È difficile farsene un giudizio costante e uniforme.

    L'utilità del vivere non è nella durata, ma nell'uso: qualcuno ha vissuto a lungo pur avendo vissuto poco; badateci finché ci siete. Dipende dalla vostra volontà, non dal numero degli anni, l'aver vissuto abbastanza.

    La fiducia nell'altrui bontà è non lieve testimonianza della propria.

    La filosofia ha ragionamenti adatti all'infanzia degli uomini come alla loro decrepitezza. È quel che dice Epicuro all'inizio della sua lettera a Meniceo: "Il più giovane non rifugga dal filosofare, né il più vecchio se ne stanchi".

    La gloria e il riposo sono cose che non possono stare sotto lo stesso tetto.

    La maggior parte delle opinioni antiche concordano in questo: che è tempo di morire quando a vivere c'è più male che bene; e che conservare la nostra vita a nostro tormento e danno, è andar contro le stesse leggi di natura.

    La morte è da temere meno che niente, se ci fosse qualcosa di meno del niente. Essa non vi riguarda né da morto né da vivo: vivo, perché siete; morto, perché non siete più.

    La morte è inevitabile.

    La morte è la ricetta per tutti i mali. La morte è una delle componenti dell'ordine dell'universo.

    La nostra propria e peculiare condizione è tanto ridicola quanto risibile.

    La perfetta amicizia è indivisibile: ciascuno si dà al prprio amico tanto interamente che non gli resta nulla da spartire con altri. (...) Le amicizie ordinarie si possono distribuire: si può amare in questo la bellezza, in quello la dolcezza dei costumi, nell'altro la liberalità, nell'altro il sentimento di paternità, in un altro ancora il sentimento di fraternità e così via; ma quell'amicizia che possiede l'anima e la domina con sovranità assoluta è impossibile che sia duplice. Se due vi domandassero contemporaneamente di essere aiutati, da quale correreste? Se vi domandassero due servizi contrari, che ordine seguireste? Se uno affidasse al vostro silenzio una cosa che all'altro fosse utile sapere, come ve la cavereste? L'unica e suprema amicizia esclude tutti gli altri obblighi.

    La peste dell'uomo è la presunzione di sapere. La più grande cosa al mondo è saper essere per sé.

    La poesia popolare e semplicemente naturale ha ingenuità e grazie per cui può stare a confronto con la più elevata bellezza della poesia perfetta secondo l'arte; come si vede nelle villanelle di Guascogna e nelle canzoni che ci sono riferite di genti che non hanno cognizione di alcuna scienza, e nemmeno della scrittura. La poesia mediocre che si ferma fra queste due la si disprezza, e non ha onore né pregio.

    La prudenza è mortale nemica delle nobili azioni.

    Lasciate, con gli altri piaceri, quello che viene dall'approvazione altrui.

    Le cose hanno forse di per sé i loro pesi e misure e condizioni: ma internamente, in noi, l'anima li squadra come vuole. La morte è terribile per Cicerone, desiderabile per Catone, indifferente per Socrate.

    Le cose non sono tanto dolorose né difficili in se stesse: ma la nostra debolezza e viltà le rendono tali.

    Le leggi della coscienza, che noi diciamo nascere dalla natura, nascono dalla consuetudine; ciascuno, infatti, venerando intimamente le opinioni e gli usi approvati e accolti intorno a lui, non può disfarsene senza rimorso né conformarvisi senza soddisfazione.

    Le memorie eccellenti si uniscono volentieri agli intelletti deboli.

    Lo stato peggiore di un uomo è quando perde la conoscenza e il dominio di sé.

    Ma via!, giovani e vecchi lasciano la vita allo stesso modo.

    Mi rendo conto solo di questo: che la maggiore e più grave difficoltà della scienza umana par che s'incontri proprio là dove si tratta dell'educazione e dell'istruzione dei fanciulli.

    Molte cose ci sembrano più grandi nell'immaginazione che nella realtà. Morir di vecchiaia è una morte rara, singolare e straordinaria, e tanto meno naturale delle altre; è l'ultima specie di morte, e la più difficile; più è lontana da noi, tanto meno possiamo sperare in essa; essa è senza dubbio il confine al di là del quale non andremo, e che la legge di natura ha prescritto non debba essere oltrepassato; ma è una sua rara concessione farci giungere fin là.

    Nella vita vi sono da soffrire molti accidenti peggiori della morte stessa. Nessuno sta male per molto tempo se non per colpa sua.

    Noi consideriamo la morte, la povertà e il dolore come nostri principali avversari. Ora, quella morte che gli uni chiamano la più orribile fra le cose orribili, chi non sa che altri la chiamano l'unico rifugio dai tormenti di questa vita? il bene supremo della natura? il solo sostegno della nostra libertà? e comune e pronto rimedio a tutti i mali? e come alcuni l'attendono tremanti e spauriti, altri la sopportano più facilmente della vita.

    Noi non siamo mai in noi, siamo sempre al di là. Il timore, il desiderio, la speranza, ci lanciano verso l'avvenire, e ci tolgono il sentimento e la considerazione di ciò che è, per intrattenerci su ciò che sarà, quando appunto noi non saremo più.

    Noi siamo buoni a dire: "Cicerone dice così; questi sono i costumi di Platone; queste sono proprio le parole di Aristotele". Ma noi, da parte nostra, che cosa diciamo? Che giudizi diamo? Che cosa facciamo? Anche un pappagallo saprebbe fare altrettanto.

    Non bisogna chiedere che tutte le cose vadano secondo la nostra volontà, ma che vadano secondo la saggezza.

    Non c'è da meravigliarsi se quelli che, come vogliono le nostre usanze, cominciano con una medesima lezione e con ugual metodo a governare parecchi spiriti tanto diversi di misura e di forma, in tutta una folla di ragazzi ne trovano appena due o tre che ricavino qualche buon frutto dal loro insegnamento.

    Non c'è nulla di male nella vita per chi ha ben compreso che la privazione della vita non è male.

    Non cito gli altri, se non per esprimere meglio me stesso.

    Non è sufficiente che la nostra educazione non ci guasti; bisogna che ci cambi in meglio.

    Non è un'anima, non è un corpo che si educa: è un uomo; non bisogna dividerlo in due.

    Non faccio niente senza gioia.

    Non mi occupo di dire quel che ci si deve fare al mondo, ci pensano già abbastanza gli altri, ma quel che ci faccio io.

    Non senza ragione si dice che chi non si sente abbastanza forte di memoria deve evitare di essere bugiardo.

    Non vi è sentimento tanto contagioso quanto la paura.

    Non vidi mai uomo che non dica piuttosto di più che di meno di quel che deve.

    Nulla si crede più fermamente di quel che meno si sa.

    Odio a morte di puzzare di adulatore; e questo fa sì che getti spontaneamente a un linguaggio secco, schietto e crudo, che,per chi non mi conosce altrimenti, tende un po' allo sdegnoso.

    Ogni altra scienza è dannosa a colui che non ha la scienza della bontà.

    Ogni atteggiamento ci scopre.

    Ogni cosa ha molte facce e diversi aspetti.

    Ogni fede è abbastanza forte per farsi abbracciare a prezzo della vita.

    Ogni piacere dei mortali è mortale.

    Ogni uomo danaroso è taccagno, a mio parere.

    Ora, lo scopo, io credo, è sempre uno: vivere più piacevolmente e a proprio agio. Ma non sempre se ne cerca bene la strada.

    Perché temi il tuo ultimo giorno? Esso non contribuisce alla tua morte più di ciascuno degli altri. L'ultimo passo non causa la stanchezza: la fa manifesta. Tutti i giorni vanno verso la morte, l'ultimo ci arriva.

    Platone mette in quest'ordine i beni corporali o umani: la salute, la bellezza, la forza, la ricchezza.

    Possiamo, con l'abitudine e con l'esperienza, fortificarci contro i dolori, la vergogna, l'indigenza e altri accidenti simili: ma, per quanto riguarda la morte, non possiamo provarla che una volta sola; siamo tutti dei principianti quando ci arriviamo. Quante volte espressioni incontrollabili del nostro viso rivelano i pensieri che tenevamo segreti e ci tradiscono davanti agli altri!

    Quanto alla fedeltà, non c'è animale al mondo più traditore dell'uomo Quelle grandi promesse della beatitudine eterna, se noi le accogliessimo come autorevoli al pari di un ragionamento filosofico, non avremmo la morte in tale orrore come l'abbiamo. Quelli che chiamiamo abitualmente amici e amicizie, sono soltanto dimestichezze e familiarità annodate per qualche circostanza o vantaggio, per mezzo di cui le nostre anime si tengono unite. Nell'amicizia di cui parlo, esse si mescolano e si confondo l'una nell'altra con un connubio così totale da cancellare e non ritrovar più la commessura che le ha unite. Se mi si chiede di dire perché l'amavo [si riferisce ad Etienne de La Boétie], sento che questo non si può esprimere che rispondendo: "Perché era lui; perché ero io".

    Quelli che dicono che non c'è mai eccesso nella virtù, poiché non è più virtù se c'è l'eccesso, giocano con le parole.

    Quelli che hanno il corpo gracile lo ingrossano con imbottiture; quelli che hanno esile l'argomento, lo gonfiano con le parole.

    Quello che ci fa sopportare con così poca pazienza il dolore, è il non essere abituati a trovare la nostra principale soddisfazione nell'anima.

    Quello dei figli verso i padri, è piuttosto rispetto. L'amicizia si nutre di una comunione che tra loro non può esservi, per la troppo grande disparità, e offenderebbe forse i doveri di natura. Infatti, né tutti i segreti pensieri dei padri possono essere comunicati ai figli per non generare in essi una sconveniente dimestichezza, né si potrebbero avere da parte dei figli verso i padri gli ammonimenti e le correzioni. che costituiscono uno dei principali uffici dell'amicizia.

    Se avete vissuto un giorno, avete veduto tutto. Un giorno è uguale a tutti gli altri. Non c'è altra luce né altra notte. Questo sole, questa luna, queste stelle, questa disposizione sono gli stessi di cui hanno goduto i vostri avi, e che diletteranno i vostri pronipoti.

    Se la menzogna, come la verità, avesse una sola faccia, saremmo in una condizione migliore. Di fatto prenderemmo per certo il contrario di quello che dicesse il bugiardo. Ma il rovescio della verità ha centomila aspetti e un campo indefinito.

    Se non commento bene, un altro commenti per me.

    Se quello che non abbiamo veduto non esiste, la nostra scienza è straordinariamente ristretta.

    Si può ben dire con fondamento che c'è un'ignoranza abbecedaria che va innanzi alla scienza; un'altra, dottorale, che viene dopo la scienza: ignoranza che la scienza produce e genera, allo stesso modo che annulla e distrugge la prima.

    Si rimproverava a Diogene che, essendo ignorante, si occupasse di filosofia: "Me ne occupo", egli rispose, "tanto più a proposito".

    Si volge volentieri il senso degli scritti altrui a favore delle opinioni preconcette che sono in noi.

    Soltanto i pazzi sono sicuri e risoluti.

    Tanto vana e frivola cosa è l'umana prudenza, e attraverso tutti i nostri progetti, i nostri disegni e le nostre precauzioni, la fortuna conserva sempre il dominio degli eventi.

    Tutte le passioni che si lasciano assaporare e digerire sono soltanto mediocri.

    Tutti i mezzi onesti per difendersi dai mali sono non soltanto permessi, ma lodevoli. E il gioco della fermezza si gioca principalmente col sopportare pazientemente le sventure alle quali non c'è rimedio.

    Tutto quello che ci sembra strano lo condanniamo, e così tutto quello che non comprendiamo.

    Tutto quello che può esser fatto domani, può esserlo oggi.

    Tutto quello che può la nostra saggezza non è gran cosa; più essa è acuta e vivace, più trova in sé debolezza, e tanto più diffida di se stessa.

    Un lettore perspicace scopre spesso negli scritti altrui perfezioni diverse da quelle che l'autore vi ha poste e intravviste, e presta loro significati e aspetti più ricchi.

    Un uomo: che cosa c'è di più caduco, di più miserabile, di più insignificante?

    Un uomo può sperare tutto finché vive.

    Una cosa è la predica e un'altra cosa il predicatore.

    Vivere a lungo e vivere poco sono resi tutt'uno dalla morte.

    Vorrei vivere solamente in compagnia di persone sane e allegre. La vista delle angosce altrui mi angoscia materialmente, e la mia sensazione ha spesso fatta propria la sensazione di un terzo. Uno che tossisce di continuo mi irrita i polmoni e la gola. Visito più malvolentieri i malati a cui mi sento interessato per dovere, che quelli a cui porto minor attenzione e che meno considero. Io afferro il male che osservo e lo pongo in me.